Tra i tanti contaminanti presenti negli alimenti ce ne sono alcuni del tutto naturali, ma non per questo meno pericolosi. È il caso delle micotossine, sostanze prodotte da funghi che crescono su un gran numero di vegetali diversi: spesso le ritroviamo nel cibo e possono causare numerose patologie.

Le micotossine sono sostanze prodotte da funghi microscopici, pericolose per l’uomo e per molti vertebrati e in grado di causare malattie definite micotossicosi. L’entità della patologia dipende da molti fattori: il tipo di micotossina, la quantità ingerita, la durata dell’esposizione, e tutta una serie di interazioni con genetica, stato di salute e nutrizionale del soggetto, presenza o meno di altre sostanze tossiche.

Nella maggior parte dei casi le micotossicosi sono dovute al consumo di alimenti che contengono queste tossine: si tratta in genere di prodotti vegetali, grano, mais e altri cereali, arachidi, frutta secca, ma possono essere presenti anche nella carne e nel latte di animali nutriti con alimenti contaminati da queste sostanze.

Si tratta di composti assolutamente naturali, e tuttavia pericolosi, prodotti da funghi appartenenti a tre diversi generi: Aspergillus, Penicillium e Fusarium. Si tratta di muffe molto diffuse in natura, in grado di degradare materiale organico di ogni tipo e di adattarsi a condizioni di vita molto diverse. Il genere Aspergillus comprende una cinquantina di specie che  crescono soprattutto su prodotti conservati, specie in condizioni di ridotta umidità. Il genere Penicillium comprende muffe che crescono su cereali e legumi, sia durante la raccolta, sia durante la conservazione, specie in condizioni più fredde e umide del normale. Le muffe del genere Fusarium crescono invece sulle piante in campo e le tossine che producono possono accumularsi nella pianta infetta e nei semi, per ritrovarsi poi in alimenti e mangimi.

Rimane ancora poco chiaro il ruolo che le micotossine hanno nello sviluppo e nella crescita delle muffe produttrici: non tutte le specie appartenenti ai tre generi indicati le producono, anzi ceppi diversi di una stessa specie possono presentare capacità differenti di produrre questi composti. Sono descritti casi in cui prodotti colonizzati da muffe tossigene in realtà non presentano concentrazioni apprezzabili dei composti: evidentemente alcune particolari condizioni di sviluppo e crescita dei funghi non permettono la produzione delle tossine.  [1, 2]

Micotossine e aflatossine, i rischi per la salute

Pannocchie di granturco con una evidente crescita di Aspergillus. I cereali sono tra i vegetali più colpiti dalle muffe e i loro derivati – specie i cereali da colazione – possono essere una delle principali fonti di micotossine della nostra alimentazione.

Micotossine e salute

Le micotossine sono molecole piccole, con struttura chimica molto diversa tra di loro, definite come “sostanze naturali prodotte da funghi, in grado di provocare una risposta tossica quando introdotte per vie naturali in vertebrati e altri animali“[3]. Ad oggi sono state isolate oltre 300 diverse micotossine ma soltanto alcune di queste rappresentano un problema per la salute. Le più importanti sono aflatossine, ocratossine, fumonisine, tricoteceni, zearalenoni e patulina. [4, 5, 6]

Aflatossine

Le aflatossine sono state le prime micotossine ad essere identificate, nel 1961 in Inghilterra, quando una partita di mangime contaminato da queste sostanze provocò la morte di oltre 100.000 tacchini d’allevamento. Le quattro aflatossine principali sono la B1, B2, G1, e G2, prodotte da Aspergillus flavus e Aspergillus parasiticus. I prodotti più frequentemente contaminati sono cereali, fichi, semi da olio, arachidi, semi di cacao e spezie. Le aree più soggette a contaminazione sono quelle tropicali e sub-tropicali, specie in condizioni di forte siccità. Le aflatossine si trovano anche nel latte di animali nutriti con mangimi contaminati: nelle mucche l’aflatossina B1 è convertita in una forma particolare, l’aflatossina M1, forma che appunto ritroviamo in latte e carni.

Le aflatossine possono causare una intossicazione acuta, di solito mortale negli animali,  oppure un’intossicazione cronica che può causare cancro, immunosoppressione, mutazioni e malformazioni fetali. Le aflatossine attaccano il DNA e le proteine del nucleo, determinando gravi alterazioni, mutazioni e perdita di funzionalità. L’organo bersaglio è il fegato e infatti l’aflatossina B1 è classificata come un cancerogeno del gruppo 1 per il carcinoma epatico, uno dei più potenti carcinogeni noti [7], mentre l’aflatossina M1 è classificata nel gruppo 2A.

Il problema della contaminazione da aflatossina è molto grave nei paesi in via di sviluppo, nei quali l’incidenza di cancro del fegato è in effetti da 2 a 10 volte superiore rispetto a quanto si osserva nei paesi industrializzati. Negli Stati Uniti e in Europa esiste una legislazione stringente sui livelli di aflatossine sia nei mangimi sia nei prodotti destinati al consumo umano. Per i cereali destinati al consumo umano i contenuti massimi ammissibili di aflatossina B1 sono di 2 μg/kg (due milionesimi di grammo per kg di prodotto), per la frutta secca sono di 10 μg/kg, per l’aflatossina M1 nel latte sono di 0,05 μg/kg. [8, 9]

Ocratossine

Sono prodotte da diverse specie di Aspergillium — tra cui Aspergillium niger, ampiamente utilizzato nella produzione di acido citrico, processo che richiede quindi l’utilizzo di ceppi che non producano tossine — e da una sola specie di Penicillium. Lo sviluppo in campo delle muffe è favorito da condizioni umide, mentre in magazzino crescono bene anche in presenza di umidità ridotta. Di maggior importanza per la salute è l’ocratossina A che troviamo in cereali e derivati, in legumi e caffè e anche in alcune uve, contaminate da Aspergillus carbonarius. Caffè e vino sono in effetti gli alimenti che apportano la maggior quantità di ocratossina A.

Si tratta di una sostanza che lo IARC ha classificato come potenzialmente cancerogena (gruppo 2B), in grado di inibire la sintesi proteica, con una apprezzabile attività immunosoppressiva. L’ocratossina A si accumula nel rene e può dare nefrotossicità: si pensa che possa essere una delle cause della Nefropatia endemica balcanica, una malattia del rene molto diffusa nell’area dei Balcani.

La comunità Europea ha stabilito un’assunzione tollerabile settimanale pari a 120 ng/kg peso corporeo (120 miliardesimi di grammo per kg di peso corporeo). Si stima che l’assunzione media sia meno della metà del limite indicato. [10, 11]

Fumonisine

Le fumonisine sono prodotte da funghi del genere Fusarium. Molto importante Fusarium verticillioides responsabile della fusariosi sistemica del mais, una malattia che attacca la coltura in campo e porta a forte accumulo di tossine nella spiga. Esistono almeno una trentina di diverse fumonisine, tra le quali la più importante è la fumosina B1, tipicamente presente nel mais e nei prodotti derivati. Le fumonisine, oltre che sul mais, si possono trovare anche su altri cereali, soia, asparagi, fichi e tè nero.

Le fumonisine interferiscono con il metabolismo degli sfingolipidi, sostanze essenziali per l’integrità strutturale delle membrane, con la maggior parte dei danni prodotti a livello di rene e fegato. Lo IARC le classifica come probabilmente cancerogene per l’uomo (gruppo 2B). La presenza di un elevato contenuto di fumonisine è correlato ad una incidenza più elevata di cancro all’esofago in Sudafrica, China e nel nord-est dell’Italia.

Per le fumonisine l’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) ha stabilito un livello massimo tollerabile giornaliero pari a 2 μg/kg peso corporeo (due milionesimi di grammo per kg di peso corporeo). Si stima che il consumo medio giornaliero vada da 0.02 µg/kg a 0.2 µg/kg peso corporeo, valori inferiori al livello massimo indicato che tuttavia può essere raggiunto in situazioni particolari, come un elevato consumo di mais o prodotti derivati — cereali da colazione, soprattutto — in annate con clima favorevole allo sviluppo del Fusarium. [12, 13]

Tricoteceni

Sono prodotti soprattutto da muffe del genere Fusarium e in base alla loro struttura chimica sono divisi in due gruppi: tricoteceni A e tricoteceni B. Al gruppo A appartiene la tossina T-2 mentre al gruppo B appartiene il deossinivalenolo, detto anche vomitotossina per le tipiche manisfestazioni di vomito e di rifiuto del cibo che seguono all’ingestione.

I tricoteceni interferiscono con i processi di sintesi proteica e con duplicazione trascrizione di DNA e RNA. Il consumo di prodotti contaminati può provocare nausea, vomito e dolori addominali. Consumo elevato di cereali ammuffiti, contenenti rilevanti quantità di tossina-T2, può causare Leucopenia tossica alimentare, una malattia mortale nell’80% dei casi, descritta in alcune comunità russe durante la seconda guerra mondiale. I tricoteceni non risultano cancerogeni per l’uomo.

I tricoteceni si trovano soprattutto sui cereali, sia in campo che in magazzino, purtroppo  sia nei prodotti destinati al consumo umano che nei mangimi, con valori che vanno da 0,1 a 50 mg/kg di prodotto (ppm). I livelli consigliati per i derivati dei cereali sono di 1mg/kg prodotto (1 ppm) mentre per i mangimi si può arrivare a 5-10 mg/kg prodotto (5-10 ppm). [14, 15]

Zearalenoni

Sono prodotti da varie specie di Fusarium che crescono, sia in campo sia in magazzino, su grano, sorgo, orzo, avena, segale e sui loro derivati. La produzione di tossine è favorita da condizioni di elevata umidità e temperatura ridotta. Molto spesso la contaminazione da zearalenoni è accompagnata dalla presenza di tricoteceni e, più raramente, di aflatossine.

Gli zaearalenoni non sono tossici per l’uomo nelle quantità riscontrate nei prodotti alimentari, si tratta tuttavia di sostanze potenzialmente problematiche per la loro struttura simile a quella degli estrogeni e quindi per la loro attività anabolica e per la capacità di alterare i normali equilibri ormonali anche in concentrazioni ridotte, effetto molto evidente sugli animali d’allevamento. Più che di micotossine si dovrebbe parlare di micoestrogeni, anche se non è ancora chiaro in che misura queste sostanze possano contribuire al carico di xenoestrogeni, i cosiddetti interferenti endocrini, che negli ultimi anni sono sempre più indagati per i potenziali problemi che potrebbero creare negli animali e nell’uomo. Attualmente, per mancanza di dati, lo IARC classifica gli zearalenoni tra le sostanze non cancerogene (gruppo 3)

Il livello di assunzione ritenuto sicuro per gli umani è di 0,25 μg/kg peso corporeo (0,25 milionesimi di grammo per kg di peso corporeo) con valori stimati di assunzione giornaliera molto al di sotto di questo limite, anche con consumo di prodotti con apprezzabile contaminazione. In Italia è stabilito un contenuto massimo ammissibile nei prodotti per l’infanzia pari a 20 μg/kg di prodotto.[16, 17]

Patulina

È una tossina prodotta da diverse specie di Aspergillus e Penicillium. Dapprima studiata per essere utilizzata come antibiotico è stata subito classificata come micotossina non appena ne è stata evidenziata la tossicità per gli animali e l’uomo. Le muffe che la producono, soprattutto Penicillium expansum, sono tipiche della frutta e in particolar modo della mela. La patulina si trova spesso nei succhi di mela ma non nel sidro visto che viene distrutta dai processi fermentativi.

Nonostante la ridotta tossicità WHO e FAO hanno indicato una dose massima giornaliera tollerabile di 0,4 μg/kg peso corporeo, con consumi medi nella popolazione decisamente al di sotto dei valori soglia. In Europa sono indicati dei tenori massimi di patulina diversi per i succhi di frutta destinati al consumo generale, 50 μg/kg prodotto, e per i succhi destinati all’alimentazione per l’infanzia, 10 μg/kg prodotto. [18, 19, 20, 21]

Altre micotossine

La citrinina è una micotossina nefrotossica prodotta da specie di Penicillium e Aspergillus che crescono su cereali, legumi e salumi. Alcune specie del genere Claviceps producono delle micotossine, alcaloidi tossici, che possono produrre sindromi allucinatorie nell’uomo, accompagnate da manifestazioni convulsive o da cancrena causata da vasocostrizione a livello periferico. In passato le micotossicosi dovute al consumo di farine contaminate da Claviceps purpurea hanno mietuto migliaia di vittime, specie nell’Europa settentrionale dove il consumo di segale, tipicamente infestata dal fungo, era maggiore. L’ergotismo è stata vera e propria piaga del passato, ma oggi risulta quasi completamente scomparso grazie alla maggior cura nella coltivazione, raccolta e stoccaggio dei cereali. Molti derivati di queste micotossine, le ergoline, sono stati utilizzati per scopi industriali e medici: tra i più famosi l’LSD, dietilammide-25 dell’acido lisergico, tra le più potenti droghe psichedeliche, inizialmente destinata a trattare vari disturbi mentali. [22, 23, 24, 25]

Micotossine, aflatossine, contaminazione dei cibi e rischi per la salute

I tipici speroni (ergot, in francese) di Claviceps purpurea su delle spighe di segale. Nel passato erano frequenti epidemie gravissime dovute al consumo di raccolti contaminati dal fungo.  Rischio ormai remotissimo.

Micotossine: un rischio reale?

Quasi tutti i prodotti vegetali possono essere substrato per la crescita di funghi produttori di tossine e non è raro trovare micotossine in alimenti destinati al consumo umano o in mangimi. Difficile controllarne crescita e sviluppo sul campo perché di anno in anno la contaminazione può variare in funzione del clima e di altri fattori ambientali: ad esempio la presenza di aflatossine aumenta durante periodi siccitosi che indeboliscono le piante rendendole suscettibile all’attacco fungino. Di sicuro più facile ridurre le possibili contaminazioni nella fase post-raccolta e durante lo stoccaggio, momenti nei quali è possibile controllare quei parametri — temperatura, umidità, attività dell’acqua e tensione di ossigeno — che possono impedire la crescita dei funghi.

Un dato da tenere sempre presente è che non sempre le muffe producono tossine e quindi la crescita di funghi delle specie incriminate non sempre comporta la presenza di questi composti, presenza che può essere rilevata soltanto con tecniche analitiche specifiche ed estremamente sensibili.

Svariati studi e un monitoraggio costante hanno permesso di rilevare che almeno il 25% degli alimenti è contaminato da micotossine. Prima di allarmarvi oltremodo considerate che questo risultato è dovuto all’estrema sensibilità delle tecniche analitiche impiegate che hanno portato all’individuazione di una altissima percentuale di campioni positivi. Non tutti i valori rilevati sono significativi ed è sempre importante fare riferimento ai limiti di tolleranza che in Europa sono molto rigidi, sia per quel che riguarda gli alimenti, sia per quel che riguarda i mangimi.

L’attenzione è alta anche perché la contaminazione da micotossine, oltre a costituire una minaccia per la salute, rappresenta un problema economico notevole, con interi raccolti che devono essere distrutti. Nel ricco mondo occidentale si tratta di un problema fastidioso, ma può diventare una questione davvero grave in molti paesi del terzo mondo, tra l’altro più soggetti al problema a causa delle particolari condizioni climatiche e delle tecnologie di coltivazione, raccolta e conservazione meno efficienti.

Il problema è complicato dal fatto che le micotossine sono molto stabili e difficili da eliminare con i processi fisici e biologici impiegati dall’industria alimentare. Anche bevande fermentate come vino e birra possono contenere micotossine, in alcuni casi in quantità potenzialmente problematiche, specie per quel che riguarda le birre [26], ottenute da orzo e altri cereali, più di frequente attaccati dalle muffe. Difficili e poco efficaci anche gli interventi di decontaminazione e detossificazione, fisica, chimica o biologica.

L’eliminazione completa delle micotossine non è un obiettivo realistico ma di certo bisogna lavorare per ridurne al minimo la presenza negli alimenti. La miglior arma resta la prevenzione, con massima cura in ognuna delle fasi della filiera alimentare, dal campo al magazzino. Tra le misure essenziali: impiego di varietà vegetali resistenti al fungo o inadatte alla sintesi di micotossine; pratiche agronomiche mirate che evitino stress alle piante; essiccamento rapido dei prodotti alla raccolta; scrupolosa applicazione dei principi HACCP nella fase post-raccolta; massima igiene durante la produzione degli alimenti e dei mangimi e tecniche di conservazione mirate. [27]

Le micotossine sono un esempio perfetto di sostanze naturali ma non per questo meno problematiche di tanti contaminanti di sintesi la cui presenza in concentrazioni infinitesimali pare suscitare preoccupazioni ben più gravi. Accanto alla tossicità acuta e a quella dovuto al consumo in cronico ci sono numerosi studi che indagano temi ancora più complessi come un potenziale legame con l’autismo o possibili, problematiche alterazioni del microbiota intestinale dovute ad un consumo continuato di alimenti contaminati. [28, 29]

L’impatto delle micotossine sulla nostra salute è una realtà da valutare con attenzione, per evitare inutili allarmismi ma anche pericolose sottovalutazioni. In certe aree e in specifiche condizioni climatiche è possibile che il livello di micotossine negli alimenti possa avvicinarsi pericolosamente ai livelli di guardia. La nostra principale difesa è una legislazione attenta e puntuale che metta in sicurezza tutta la filiera produttiva. E ovviamente anche massima attenzione, da parte nostra, nella scelta e nella conservazione di queglialimenti che più facilmente si prestano alla crescita di muffe.