Dopo anni di arbitrario oscuramento, digiuno e restrizione calorica sono tornati alla ribalta dei media, forse per reazione all’opulenza della civiltà post-industriale, osannati come miracoloso toccasana per una caterva di patologie e, soprattutto, strumento principe per raggiungere quella longevità che tutti agognano: quasi un elisir di lunga vita, dicono.

Gli esseri umani, come tutti i primati, si sono evoluti per affrontare periodi prolungati di scarsa disponibilità di cibo. I nostri corpi dispongono di una quantità di meccanismi che ci rendono in grado di far fronte ad una restrizione calorica, anche prolungata nel tempo.

Certo, nel ricco mondo occidentale si tratta di un’eventualità remota, in genere il periodo di digiuno più lungo della giornata è quello tra cena e colazione, dalle 8 alle 12 ore, speso perlopiù dormendo. Tuttavia i vecchi meccanismi, perfezionati da milioni d’anni di selezione in un mondo ostile dove il cibo era poco e la lotta per procurarselo durissima, sono ancora efficienti, attivi e pronti a scattare non appena sia necessario.

Quando digiuniamo per un periodo limitato di tempo, dalle 12 alle 48 ore, nel corpo si riducono fino ad arrestarsi le attività legate a digestione e assorbimento mentre inizia la mobilitazione delle riserve, soprattutto glicogeno — la forma con cui il glucosio è accumulato nei muscoli e nel fegato — e proteine, anche queste utilizzate per produrre glucosio. Se la restrizione calorica si protrae inizia un importante utilizzo dei grassi di riserva, con formazione di corpi chetonici e contemporanea riduzione dell’utilizzo di proteine. In un digiuno prolungato per giorni il corpo letteralmente mangia sé stesso, riducendo ogni spesa relativa a crescita e riproduzione, in modo da mantenere energie sufficienti per il mantenimento e la riparazione delle strutture esistenti.

Uno degli effetti più rilevanti di un digiuno prolungato è la soppressione di quelle molecole segnale responsabili appunto dei processi di crescita, in particolar modo IGF-1 e mTOR, una soppressione che in esperimenti su animali ha fatto registrare un rilevante allungamento della vita.

Quando il digiuno si prolunga la situazione diventa però critica: l’organismo non è più in grado di far fronte all’esaurimento delle scorte, inizia a utilizzare in maniera rilevante anche le proteine presenti in tessuti ed organi che inevitabilmente perdono la loro funzionalità; se non si torna a mangiare, la storia può davvero finire male.

Ovviamente a noi non interessano gli estremi, come sempre molto pericolosi: ci interessano però le recenti applicazioni suggerite per digiuno e restrizione calorica. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi su varie forme di digiuno intermittente, al fine di valutarne i possibili benefici relativi a dimagrimento, riduzione del rischio legato a malattie metaboliche e cardiovascolari, potenziale trattamento di patologie neurodegenerative e — Santo Graal moderno – aumento della longevità.

Digiuno e restrizione calorica: cosa dicono gli studi

Gli studi sul modello animale hanno dato indicazioni decisamente positive: nei topi e in alcuni primati una restrizione calorica prolungata ha permesso di aumentare la longevità dei soggetti, di ridurre la comparsa di patologie legate all’invecchiamento e di ritardare il decadimento di numerosi sistemi fisiologici. In genere regimi di questo tipo prevedono una riduzione del 30% dell’introito calorico, con particolare attenzione alla formulazione per evitare una possibile malnutrizione. I risultati sono stati talmente interessanti da giustificare i primi lavori pilota su soggetti umani. [1, 2, 3, 4, 5, 6]

Uno studio recente, ad esempio, ha coinvolto 100 soggetti adulti sani per il 37% normopeso, per un 40% sovrappeso e per un 24% obesi. I soggetti sono stati assegnati in maniera casuale a due diversi gruppi: un gruppo di controllo, a cui è stato chiesto di continuare a seguire la propria dieta abituale, e un gruppo d’intervento che, una volta al mese, per tre mesi consecutivi, si è sottoposto ad una dieta mima digiuno, uno dei tanti modelli proposti, che prevede cinque giorni di severa restrizione calorica. La dieta utilizzata consiste di zuppe, barrette, bevande e multivitaminici — una formulazione di proprietà degli autori del lavoro —  per un apporto di 1100 kcal durante il primo giorno e di 720 kcal nei restanti quattro . La suddivisione in macronutrienti della razione prevede un 9-11% di proteine, un 44-46% di grassi e un 43-47% di carboidrati.

Lo studio ha indagato le variazioni relative a fattori di rischio metabolici — glicemia a digiuno, pressione, lipidi ematici, proteina C-reattiva — e ad alcuni marcatori comunemente associati ad una maggior longevità — IGF-1 e composizione corporea, grasso viscerale, massa magra, peso e Indice di Massa Corporea — con tre rilevamenti: all’inizio, dopo il primo digiuno e al termine dell’intervento.

Il gruppo sottoposto alla dieta mima digiuno dopo tre mesi ha fatto registrare alcune variazioni statisticamente significative:

  • riduzione del peso corporeo, una media di circa 2,6 kg;
  •  riduzione dell’Indice di Massa Corporea, circa 0,9 unità;
  • riduzione del grasso corporeo, una media di 1,3 kg;
  • riduzione del grasso viscerale, circa 0,6 kg;
  • riduzione della circonferenza della vita, in media 3,3 cm;
  • riduzione di IGF-1, circa 30,4 ng/ml.

Si è avuta anche una leggera riduzione della massa magra mentre non si sono rilevate variazioni apprezzabili per glicemia a digiuno, trigliceridi, proteina C-reattiva, colesterolo totale, HDL e LDL.

Nel rilevamento immediatamente successivo al primo digiuno sono stati evidenziati un calo della pressione diastolica e della glicemia, con un aumento del colesterolo LDL e dei corpi chetonici.

Rilevante l’osservazione scaturita dall’analisi dei dati: nei soggetti a rischio, sovrappeso e soprattutto obesi, i miglioramenti dei parametri considerati sono stati maggiori rispetto a quanto registrato per i soggetti normopeso, che ovviamente presentano un rischio ridotto.

Un ulteriore controllo, a tre mesi dal termine dell’intervento, ha evidenziato che la riduzione di peso, IMC, pressione, glicemia e IGF-1 rimaneva apprezzabile, seppur meno pronunciata rispetto alla rilevazione precedente.

Digiuno e restrizione calorica: aumentano davvero la longevità?

Studi di questo tipo sono decisamente molto interessanti: purtroppo — per molti motivi diversi, soprattutto di natura economica e gestionale — sono necessariamente brevi e coinvolgono un numero limitato di soggetti. I risultati di questo lavoro ci consentono di affermare che, in individui sani, tre cicli successivi di una dieta che mima il digiuno, a distanza di un mese l’uno dall’altro, permettono di ridurre peso, IMC, massa grassa e IGF-1, senza che i soggetti lamentino particolari problemi o che emergano specifiche controindicazioni. un risultato interessante, ma che nulla ci dice di un potenziale aumento della durata della vita.

Ci sono infatti alcune considerazioni da fare – una pratica che dovrebbe essere esercizio comune quando si considerano i risultati di un  singolo studio — soprattutto se si intende valutare quanto uno specifico modello di dieta mima digiuno possa influire effettivamente sulla longevità, come da molte parti si fa rimarcare.

In questo studio i soggetti a dieta sono stati valutati contro un gruppo di controllo non sottoposto ad alcun tipo di intervento, individui cui era stato semplicemente indicato di non variare la propria alimentazione abituale durante i tre mesi dello studio. In queste condizioni è possibile che tutti gli effetti positivi rilevati siano semplicemente da imputare alla perdita di peso registrata dai soggetti sottoposti al digiuno; nel gruppo di controllo il peso, come anche l’IGF-1 e gli altri parametri valutati, non hanno infatti fatto registrare variazioni, in assenza di qualunque tipo di intervento. Legittimo quindi il dubbio che i miglioramenti osservati siano frutto della restrizione calorica e non del particolare protocollo. Sarebbe interessante valutare l’intervento con dieta mima digiuno contro un gruppo di controllo che segua altre forme di digiuno, ad esempio protocolli di digiuno intermittente 16/8, che prevedono l’assunzione di nutrienti in una finestra di 8 ore durante la giornata.

Da notare che il gruppo di soggetti studiati è stato decisamente eterogeneo e durante l’indagine un numero elevato di partecipanti ha abbandonato il progetto, particolarmente tra quelli sottoposti alla dieta mima digiuno (circa il 25%). Più interessante sarebbe la valutazione di soggetti omogenei per caratteristiche, in particolar modo soggetti con malattie metaboliche; soprattutto, per una valutazione effettiva della reale portate dei miglioramenti osservati, sarebbero necessari  interventi decisamente più lunghi.

Un dato negativo che emerge da diversi lavori è che la restrizione calorica cronica si accompagna a una perdita significativa di massa muscolare — in genere pari al 40% del peso totale perduto — una perdita che col tempo può avere conseguenze severe visto che il muscolo scheletrico è essenziale nella prevenzione di varie malattie metaboliche e diventa determinante, con l’avanzare dell’età, nella riduzione di cadute e traumi e nel mantenimento di una dignitosa autosufficienza. La dieta proposta nello studio prevedeva un apporto decisamente ridotto di proteine, una restrizione che segue un razionale preciso: diversi lavori hanno indicato in un ridotto apporto di specifici aminoacidi — i costituenti delle proteine — uno dei fattori che possono contribuire ad un aumento della longevità; tuttavia la riduzione prolungata dell’apporto proteico aumenta il rischio di una perdita rilevante di massa muscolare. Soltanto una attenta formulazione della dieta può garantire un adeguato apporto di proteine, mentre una buona attività fisica, in particolar modo con l’utilizzo di pesi, può contribuire a limitare la perdita di massa muscolare. Prima di proporre a livello terapeutico certe forme di digiuno, sarebbe quindi bene chiarire l’impatto effettivo dei vari protocolli sulla componente magra: l’IGF-1 cala anche durante la fase di definizione che i culturisti affrontano prima di una gara — soggetti a dieta stretta che comunque consumano una elevata quantità di proteine — un dato che potrebbe indicare nella sola restrizione calorica il fattore responsabile del calo di IGF-1, senza che risulti necessario tagliare l’apporto di questi preziosi nutrienti. [7, 8, 9, 10]

Dieta mima digiuno, restrizione calorica, longevità e benefici per la salute

Il vero eroe dei laboratori di tutti il mondo, 20 grammi di peso e una durata della vita di circa 24 mesi: il soggetto ideale per esperimenti su dieta e longevità.

Restrizione calorica, uomini, topi e piccioni

Negli studi su modelli animali la restrizione calorica aumenta in effetti la longevità, con netta riduzione di IGF-1 e inibizione di mTOR, ma non possiamo automaticamente trasferire quanto osservato sugli animali all’uomo. La maggior parte dei dati disponibili sul tema arriva infatti da studi sui topi e altri animali di piccola taglia. I topi sono ampiamente utilizzati perché a livello molecolare, quando si indagano i meccanismi di base che controllano vita, morte e miracoli di organi e tessuti, ci assomigliano molto; e sono degli ottimi soggetti per studiare il tema della longevità, visto che in genere vivono circa 24 mesi, una vita breve, che permette di evidenziare eventuali variazioni dovute a specifici interventi senza tanti problemi, cosa decisamente difficile per esseri umani la cui vita media si avvicina ormai agli 80 anni.

I topi hanno però processi metabolici decisamente più dispendiosi di quelli dell’uomo: la spesa energetica rapportata all’unità di peso è sette volte maggiore rispetto all’uomo. A causa di questo metabolismo così importante i topi producono una quantità enorme di radicali liberi (ROS), decisamente molto maggiore di quella prodotta nelle nostre cellule. Sappiamo che questi radicali liberi che si formano come sottoprodotto dei processi metabolici svolgono un ruolo importante nei processi di invecchiamento, specie quando molto abbondanti e quindi proni a sfuggire ai meccanismi di controllo cellulari. Nel topo una restrizione calorica severa riduce in maniera cospicua l’enorme produzione di ROS e quindi contribuisce in maniera decisa all’aumento della longevità osservato negli studi.  L’uomo non presenta una produzione così elevata di ROS, quindi è possibile che gli effetti osservati sul modello animale non siano così rilevanti nella nostra specie.

Sarebbero interessanti studi sugli effetti della restrizione calorica negli uccelli: il piccione, ad esempio, ha una massa simile a quella di alcuni ceppi di topi utilizzati in laboratorio ma una durata della vita di circa 30 anni e una notevole efficienza dei processi energetici cellulari, con produzione di una quantità di radicali liberi molto ridotta rispetto all’uomo o, ancor di più, al topo. Gli studi disponibili sugli uccelli si incentrano soprattutto sul rapporto tra fertilità e restrizione calorica, con un netto calo della prima all’aumentare della seconda, ma potrebbe essere davvero interessante capire se in organismi in cui il carico ossidativo legato ai processi metabolici è ridotto la restrizione calorica ha un effetto realmente positivo.

Ci sono invece diversi studi di lunga durata su scimmie, mantenute per tempi molto lunghi in restrizione calorica, in genere una riduzione del 30% delle calorie controllate. I risultati ottenuti sono interessanti, con un netto miglioramento di molti parametri metabolici, più rilevante quanto prima nel ciclo vitale dell’animale è stato iniziato il trattamento. Tuttavia non si è osservato un aumento significativo della longevità rispetto a gruppi di controllo. Le scimmie a dieta vivono meglio, sono più sane, sono meno vulnerabili agli acciacchi dell’età, ma in definitiva, non vivono più a lungo. [11, 12, 13, 14, 15, 16]

Pochi gli studi disponibili sugli umani per periodi prolungati: interventi di circa due anni hanno fatto registrare modifiche, nei valori indagati, simili a quelle registrate negli studi su topi e altri primati, con una apprezzabile riduzione di molti marcatori di rischio metabolico, a cominciare dal peso corporeo. L’impatto sulla longevità rimane però tutto da dimostrare.

Un laboratorio naturale sulla longevità lo abbiamo in alcune zone della terra, quelle che gli americani — che amano mettere etichette su tutto — chiamano zone blu, aree dove la popolazione risulta decisamente più longeva e dove non è così infrequente che si arrivi ai 100 anni in buona salute: alcune zone della Sardegna, Okinawa in Giappone, Loma Linda in California, la penisola di Nicoya in Costa Rica, Icaria in Grecia. Gli abitanti di queste zone, pur con fortissime differenze culturali, condividono alcuni tratti comuni: non fumano; mangiano poco, con una dieta ricca di prodotti vegetali; si muovono molto, ma senza esagerare; vivono in comunità dove si mantengono buoni rapporti sociali. Un modus vivendi decisamente diverso da quello ormai dominante nel mondo occidentale, con diete ricchissime di calorie e povere di nutrienti, tanta sedentarietà e stress alle stelle.

Restrizione calorica, dieta mima digiuno, longevità e benefici per la salute

In Sardegna sono davvero longevi: il segreto è probabilmente nella contemplazione delle viti appena potate! O magari in uno stile di vita meno frenetico e in un’alimentazione meno ricca. La seconda che ho detto, probabilmente.

In definitiva quello che emerge dai dati attualmente disponibili, riguardanti vari protocolli di digiuno intermittente, è che la restrizione calorica può migliorare molti marcatori di rischio per patologie cardiovascolari, varie forme tumorali e patologie neurodegenerative. Non abbiamo però dati significativi relativi alla longevità, possiamo soltanto sottolineare che sia probabile un qualche effetto, che però rimane molto difficile da indagare e quantificare. Il quadro è promettente e probabilmente molti lavori verranno: invecchiare in modo sano interessa a tutti.

Per cogliere certi benefici non è però strettamente necessario darsi a digiuni mensili o ridursi alla fame: per la maggior parte della popolazione basterebbe mangiare un po’ meno e magari muoversi un po’ di più. Certo, il digiuno non va più demonizzato come si faceva fino a qualche anno fa, ma è ancora prematuro considerarlo uno strumento terapeutico. Eventuali applicazioni, in soggetti che presentino particolari patologie, devono essere fatte in sicurezza, su indicazione di professionisti preparati, valutando il protocollo adeguato alle effettive necessità e allo stile di vita del paziente.

Intanto, mentre attendiamo dati più approfonditi, possiamo cominciare a ispirarci un poco a quei signori che vivono nelle zone blu: non potremmo che trarne vantaggi.


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