Siamo convinti che il nostro senso del gusto sia un prodotto delle nostre esperienze e della nostra cultura, ma non è così. La genetica conta, conta tantissimo: tra di noi si annidano dei super-gustatori, in grado di riconoscere ogni sfumatura, e dei non-gustatori, che al contrario sono un poco “sordi” ai sapori. La cosa ha implicazioni importanti su scelta dei cibi, salute e forma fisica: vediamo come e perché.

Il senso del gusto è il fattore principale che ci guida nella scelta degli alimenti e che ci aiuta a scegliere cibi ricchi di nutrienti scartando invece quelli che contengono sostanze pericolose o tossiche. Il nostro senso del gusto è in grado di riconoscere cinque sapori diversi: dolce, salato, acido, amaro e umami, quest’ultimo un gusto ricco e intenso che amplifica la percezione degli altri sapori. Si parla anche di un possibile sesto sapore, legato al contenuto di grassi degli alimenti, con la capacità di discriminare tra acidi grassi diversi, in funzione della lunghezza della catena e della presenza di doppi legami.

L’abilità di riconoscere questi sapori ha giocato un ruolo essenziale nella sopravvivenza dei nostri antenati: un gusto dolce indica infatti cibi ricchi di carboidrati e quindi di energia, l’umami permette di scegliere alimenti ricchi di proteine, il gusto acido e quello amaro mettono invece in guardia nei confronti di alimenti andati a male o contenenti sostanze velenose, il gusto salato, infine, ci segnala la presenza di sale e ci permette quindi di regolarne l’assunzione in base alle effettive necessità.

La sensibilità ai sapori varia in maniera notevole da individuo a individuo: le differenze non sono soltanto sociali e culturali — fattori comunque importanti — ma sono anche di tipo genetico e sono il frutto di meccanismi adattativi che ci hanno permesso di individuare quei cibi e quelle sostanze necessarie al nostro benessere, scartando al contempo quelle potenzialmente pericolose. I vegetali accumulano per difesa un gran numero di sostanze, alcune delle quali estremamente tossiche: queste sostanze hanno un gusto amaro e la nostra capacità di riconoscere questo sapore anche a concentrazioni molto ridotte ha rappresentato un notevole vantaggio evolutivo. Va detto che non tutti i composti amari sono tossici, anzi i polifenoli presenti in frutta e verdura e certi alcaloidi come caffeina o teina, possono avere effetti positivi per la salute; in questo caso una tollerenza maggiore per il gusto amaro può aumentarne il consumo.

I recettori del gusto sono localizzati sulla lingua a livello delle papille gustatitive che ne ricoprono la superficie. Contrariamente a quanto ancora si va dicendo, la percezione dei singoli sapori non è distribuità in aree specifiche della lingua ma è invece diffusa in maniera uniforme su tutto l’organo e troviamo recettori addirittura su epiglottide e palato molle. Ogni papilla contiene dei bottoni gustativi formati da 50-100 cellule gustative, i veri e propri recettori, in grado di legare varie sostanze chimiche. Abbiamo diversi tipi di recettori: il tipo I ha soprattutto funzione di supporto e modulazione della trasmissione degli impulsi, il tipo II  riconosce e segnala il gusto dolce, amaro e umami, il tipo T2R individua composti dal sapore amaro, il tipo III riconosce composti dal gusto acido e risponde all’anidride carbonica presente in bevande gasate.

I segnali che si originano in questi recettori sono integrati a livello del singolo bottone gustativo e attraverso i nervi craniali — nervo intermedio facciale, nervo glossofaringeo e nervo vago — raggiungono il talamo e quindi l’area gustativa della corteccia. Qui, grazie a processi la cui natura è ancora in discussione, si ha la percezione del gusto, del sapore dei cibi consumati, quella percezione che in definitiva guida le nostre scelte a tavola, percezione che deve molto al contributo dei segnali provenienti dai recettori olfattivi.

La percezione del gusto è quindi un fenomeno molto complesso, frutto di una profonda elaborazione dei segnali originati dai recettori. Il quadro è complicato dalla natura, dalla distribuzione e dalle interazioni tra i vari recettori. Ad esempio, i recettori per il dolce e l’umami sono i medesimi e questo potrebbe spiegare la nostra predilezione per cibi dolci e saporiti. Il gusto salato può mascherare quello amaro mentre l’amaro non maschera il salato. Recentemento sono stati individuati recettori per il dolce — e probabilmente anche per l’amaro e l’umami — anche a livello gastrointestinale: questi recettori, del tutto simili a quelli presenti sulle papille linguali, in presenza di zuccheri stimolano l’assorbimento del gucosio e la secrezione di insulina, modulano la motilità intestinale e stimolano il rilascio di ormoni che segnalano sazietà come GLP-1, PYY, and CCK. Alcuni studi sembrano indicare che questi recettori intestinali possano avere un qualche ruolo nello sviluppo di patologie quali obesità e diabete, a causa della loro azione di stimolo dell’assorbimento di glucosio e quindi di un aumento rilevante della glicemia. Il quadro è molto, molto più complesso di come l’esistenza di soli cinque sapori base potrebbe farci pensare. [1, 2, 3, 4, 5]

Il senso del gusto e le preferenze alimentari: super-tasters e non-tasters, l'impatto sull'obesità

La prossima volta che qualcuno rifiuta con vivo e vibrante disgusto un bel piatto di cavoletti di Bruxelles, siate comprensivi; potrebbe trattarsi di un povero super-taster, sopraffatto dal potente gusto amaro dell’umile vegetale

Gusto e gustatori: la chiave genetica

Nel 1994 Linda Bartoshuk, allora in forza alla Scuola di Medicina della Yale University, pubblicò uno studio fondamentale sul tema sull’influenza della genetica sul senso del gusto. Il lavoro della ricercatrice si basava sulla valutazione della capacità, da parte di soggetti diversi, di riconoscere il sapore amaro di specifiche sostanze, la feniltiocarbammide (PTC) e il 6-n-propiltiouracile (PROP), già da lungo tempo utilizzate in questo tipo di ricerche.

Il dato interessante emerso dal lavoro di Bartoshuk è la presenza di circa un 25% di soggetti definiti non-gustatori (non-tasters), che non sono in grado di percepire il sapore amaro dei due composti, di circa un 50% di soggetti con una sensibilità intermedia a PTC/PROP e di un 25% di super-gustatori (super-tasters) che sono invece molto sensibili alla presenza dei due composti, anche in quantità estremamente ridotte.

Il soggetto medio di fronte a PTC/PROP percepisce un lieve sapore amaro, il non-gustatore non percepisce nulla mentre il super-gustatore sente un sapore amaro fortissimo. L’appartenenza ad un gruppo o all’altro ha una base genetica la cui esatta natura è ancora oggetto di studio: si parla di geni che codificano per recettori del gusto amaro, con forme (alleli) diverse la cui combinazione darebbe luogo alle categorie osservate. Ovvio che i recettori per il gusto amaro hanno un evidente significato evolutivo, ma la conservazione delle varianti non sensibili a PTC/PROP fa pensare che anche queste forme possano dare un qualche vantaggio evolutivo, forse la sensibilità a un qualche differente composto amaro non ancora identificato.

Oltre l’aspetto genetico, esiste una differenza ben più evidente, a livello anatomico, tra super-gustatori e non-gustatori: i primi infatti hanno un numero di papille gustative decisamente superiore rispetto alla media, mentre i secondi ne hanno un numero inferiore. Ne risulta che il numero dei recettori per i super-gustatori è decisamente molto elevato, mentre i non gustatori ne hanno una quantità molto inferiore. Accanto ad una maggiore sensibilità per l’amaro i super-gustatori paiono poter percepire con maggiore acuità anche il gusto dolce, quello salato e l’umami, anche se le differenze sono in questo caso meno accentuate.

Il super-gustatore è quindi un soggetto che è sopraffatto dai sapori, ha gusti molto precisi e tende ad apprezzare un numero limitato di cibi. Il super-taster rifugge dal gusto amaro di molti vegetali e di molti frutti, tende ad evitare cibi troppo dolci o troppo speziati, è molto sensibile all’astringenza degli alcolici e alla particolare tessitura che un elevato contenuto di grassi conferisce al cibo. Un vantaggio di questa condizione è che i super -gustatori, che non amano consumare cibi troppo dolci o troppo grassi, sono in genere più magri e hanno un ridotto rischio cardiovascolare. Uno svantaggio è dato dal ridotto consumo di frutta e verdura, accompagnato da una maggior incidenza di polipi intestinali.

Al contrario i non-gustatori, così poco sensibili ai sapori, tendono a preferire cibi molto dolci e spesso anche molto grassi, ricchi di spezie, caldi, e non hanno grandi problemi con cibi amari o astringenti: insomma sono i tipici soggetti che mangiano di tutto, senza tuttavia ricavarne un gran gusto, o così parrebbe. Si tratta anche di soggetti maggiormente inclini all’alcolismo e al fumo, con peso corporeo maggiore e maggior rischio cardiovascolare.

Dai dati disponibili pare che i super-gustatori siano maggiormente presenti tra le donne e che la sensibilità nei confronti di sostanze amare sia maggiore durante l’infanzia — il che potrebbe almeno in parte spiegare il diffuso rifiuto, tra i bambini, del consumo di vegetali dal sapore amaro più spiccato — e, sempre tra le donne, nel primo trimestre di gravidanza, un evidente meccanismo protettivo nei confronti di sostanze tossiche che potrebbero danneggiare il feto.

Alcuni lavori più recenti di Bartoshuk paiono suggerire che tra gli obesi la percezione del gusto dolce e dei grassi presenti nei cibi possa in effetti risultare ridotta, il che si traduce in una decisa preferenza e in una attiva ricerca di cibi molto dolci e molto grassi: un dato di questo tipo indica che l’aspetto sensoriale può contribuire in maniera significativa a scelte alimentari poco equilibrate, con conseguente aumento del peso corporeo. [6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15]

Si tratta di un’area di studio molto interessante ma anche estremamente complessa: la valutazione e la comparazione di esperienze sensoriali e affettive tra individui presenta enormi difficoltà, i fattori confondenti possono essere tantissimi e i problemi metodologici notevoli. Tuttavia studi di questo tipo possono far luce sui tanti processi che determinano la nostra percezione dei cibi, sulle modalità con cui costruiamo le nostre preferenze a tavola e sui meccanismi che guidano la selezione di un alimento o dell’altro.

Così, la prossima volta che vi trovate di fronte a qualcuno che evidentemente soffre di fronte ad un piatto di cavoletti di Bruxelles, abbiate maggior comprensione: probabilmente si tratta di un super-gustatore e quello che per voi è un gradevole retrogusto amaro per lui è un’ondata travolgente che annichilisce le papille. Figuratevi rucola o radicchio.