È un dato di fatto il progressivo aumento di soggetti che lamentano problemi più o meno importanti in seguito al consumo di cibi contenenti glutine, in assenza dei marcatori tipici della celiachia. Un aumento così consistente da render necessario definire una nuova condizione: la sensibilità al glutine non celiaca.

In alcuni individui il consumo di glutine — una proteina che si trova in cereali come grano, orzo e segale e di cui ho parlato in questo articolo — può scatenare una serie di diverse patologie. Sono ben note la celiachia e l’allergia al frumento, condizioni caratterizzate da un meccanismo immunitario, di tipo autoimmune nel caso della celiachia, mediato da IgE nel caso dell’allergia, con protocolli diagnostici e terapie ben definiti.

Negli ultimi anni una nuova entità è stata aggiunta al novero delle patologie legate al glutine, la sensibilità al glutine non celiaca, che apparentemente non coinvolge direttamente il sistema immunitario ed è caratterizzata da una serie di sintomi, intestinali ed extra-intestinali, che compaiono rapidamente in seguito al consumo di glutine e altrettanto rapidamente scompaiono quando questo venga eliminato dalla dieta. In realtà, di sensibilità al glutine si è iniziato a parlare negli anni 80 del secolo scorso, ma è solo recentemente che si è giunti ad un consenso nella definizione di questa condizione, seppur in negativo. Secondo la definizione di Oslo del 2012 la sensibilità al glutine non celiaca si ha quando l’ingestione di glutine porta ad alterazioni morfologiche o fisiologiche in assenza degli anticorpi tipici della celiachia e dell’atrofia dei villi intestinali. Una definizione molto vaga che riflette la carenza di dati e di studi e la necessità di mettere a punti criteri diagnostici e protocolli di trattamento specifici.

Non esistono dati certi sulla diffusione di questa condizione, molti soggetti che riferiscono di esserne affetti in realtà fanno autodiagnosi, tuttavia sulla scorta di studi legati alla diffusione della Sindrome dell’intestino irritabile si stima che circa l’1% della popolazione possa esserne colpito, con maggior incidenza tra le donne e i soggetti giovani o di mezza età. [1, 2, 3]

Sensibilità al glutine non celiaca, sintomi e diagnosi

Negli ultimi venti anni il settore degli alimenti privi di glutine, sulla scorta di una richiesta sempre crescente, è divenuto un business miliardario, un settore in continuo sviluppo che attira investimenti non trascurabili. Ma sono davvero così tanti i soggetti che devono evitare il glutine o si tratta di una delle tante mode alimentari?

I sintomi della sensibilità al glutine non celiaca

I sintomi compainono molto rapidamente dopo l’ingestione di glutine, scompaiono quando il glutine viene eliminato dalla dieta e tendono a ricomparire rapidamente quando è reintrodotto. Ovviamente non è possibile escludere un effetto placebo dovuto all’eliminazione, ma recenti studi in doppio cieco hanno mostrato che i sintomi erano presenti in misura decisamente maggiore quando a soggetti sensibili, dopo una fase di eliminazione, venivano fatte consumare  compresse contenenti glutine rispetto a quelli cui erano fornite capsule contenenti un placebo. [4]

A livello intestinale si hanno manifestazioni sovrapponibili a quelle tipiche della sindrome dell’intestino irritabile, con dolori addominali, gonfiore, nausea, diarrea o costipazione, flatulenza. A livello sistemico spesso si riscontrano mal di testa, fatica, dolori articolari, dolori muscolari, dermatiti, depressione e anemia. Una costellazione di sintomi, alcuni oggettivi, altri soggettivi e difficili da classificare e quantificare, che rendono ancor più confusa e difficile la situazione.

I meccanismi della sensibilità al glutine non celiaca

Anche sui meccanismi fisiologici della patologia esistono ampie zone d’ombra. In genere non sono presenti le alterazioni della permeabilità intestinale o le tipiche lesioni della mucosa caratteristiche delle celiachia, mentre si osservano i segni tipici di una risposta immunitaria innata piuttosto che di una adattativa, con aumento di linfociti intraepiteliali e rilascio di citochine. Questa risposta potrebbe essere dovuta alle proteine del glutine, gliadine e glutenine, ma potrebbe anche presentarsi in risposta ad altre componenti proteiche del grano come le agglutinine del germe, gli inibitori delle amilasi, o le lectine, proteine che nel seme hanno funzione protettiva contro parassiti e insetti.

Nel grano accanto alle proteine esistono altre componenti che potrebbero causare i sintomi tipici della patologia. Si tratta dei FODMAP, zuccheri fermentabili che in individui suscettibili possono causare distensione del lume intestinale per accumulo di liquidi e per i processi di fermentazione operati dal microbiota. La dieta FODMAP – qui  e qui i dettagli -permette di ridurre i sintomi in soggetti con sensibilità perché elimina quei cereali contenenti glutine che sono anche ricchi di zuccheri fermentabili, fruttani in particolare. Tuttavia i FODMAP possono al più essere una concausa in alcuni soggetti, visto che pazienti con sensibilità al glutine, sottoposti a diete prive di glutine ma ricche di FODMAP, non presentano sintomi particolari. [5, 6]

Molto controverso e oggetto di discussione è il legame tra sensibilità al glutine e disturbi dello spettro autistico. Alcuni studi hanno infatti mostrato, in piccoli gruppi di soggetti autistici, un migliormento dei sintomi con diete prive di glutine e caseina. Si ipotizza che in certi soggetti la sensibilità a queste proteine possa alterare la permeabilità intestale permettendo il passaggio di frammenti peptidici che andrebbero ad interferire con specifici processi a livello del Sistema Nervoso Centrale,  con conseguente comparsa dei disturbi tipici di certe forme di autismo. Gli studi sul tema sono pochi hanno dato risultati poco chiari e comunque limitati a situazioni molto specifiche: lavori più accurati sono necessari prima che una dieta priva di latte e cereali possa essere proposta come un mezzo valido nel trattamento dell’autismo. [5]

Altrettanto controverso è il possibile legame tra sensibilità al glutine e schizofrenia. Alcuni studi hanno evidenziato miglioramenento dei sintomi in soggetti affetti da schizofrenia grazie a diete prive di glutine, mentre altri non hanno mostrato efetti apprezzabili. Soggetti schizofrenici mostrano spesso presenza di marcatori della celiachia o presenza di anticorpi antigliadina che inducono ad ipotizzare un possibile legame dovuto a meccanismi immunologici. Come nel caso dell’autismo, potremmo avere un aumento della permeabilità intestinale e passaggio di componenti peptidiche in grado di interferire con processi specifici a livello del SNC. Ipotesi suggestive ma che richiedono un importante apporfondimento e studi ben progettati e condotti, prima di poter affermare che l’eliminazione del glutine dalla dieta possa produrre qualche reale miglioramento in soggetti schizofrenici. [7, 8, 9, 10]

Il pane, il cibo per antonomasia del mondo occidentale, ormai sul banco degli imputati come possibile causa di una teoria infinita di patologie. A torto, visto che la prevalenza di problemi con il glutine non pare essere così diffusa come vorrebbero certi detrattori.

La diagnosi della sensibilità al glutine non celiaca

Al momento non esistono dei criteri ben definiti per la diagnosi di questa patologia. Molto spesso sono i pazienti che, basandosi sulle loro esperienze relative al consumo di cibi contenenti glutine, ne suggeriscono la presenza. La situazione è complessa poiché al momento non esistono test validati; il medico deve lavorare quindi per esclusione, verificando l’assenza dei marcatori tipici della celiachia (anti-TG2 e anticorpi antiendomisio EMA)  e dell’allergia al frumento (anticorpi IgE per specifiche componenti del grano).

In passato si utilizzava il dosaggio degli anticorpi antigliadina AGA, ma il test è stato abbandonato in quanto prono ad errori. Anticorpi di tipo IgG contro la gliadina — una delle proteine che costituiscono il glutine — sono presenti nel 50% dei soggetti e potrebbero essere utilizzati per la diagnosi una volta che si sia esclusa la presenza di altre patologie legate al glutine.

A livello genetico una percentuale superiore al 50% dei soggetti con sensibilità presenta gli aplotipi HLA-DQ2 o HLA-DQ8, delle varianti geniche che aumentano la suscettibilità a patologie legate al glutine. In questo caso è bene approfondire la valutazione al fine di escludere una situazione di celiachia latente.

Una volta escluse le altre patologie è possibile procedere con la proposta di una dieta priva di glutine, in genere per tre settimane, seguita dalla reintroduzione. A questo punto si va a verificare la ricomparsa dei sintomi riportati dal soggetto. In ambiente clinico o di ricerca se i sintomi sono oggettivi, come vomito e diarrea, si procede direttamente proponendo cibi contententi glutine; qunado i sintomi riportati sono soggettivi, dolori, nausea, stanchezza, la reintroduzione dovrebbe essere fatta in cieco, proponendo al paziente dei preparati nei quali il glutine può essere presente o meno, senza che egli effettivamente lo sappia. In questo modo si possono ridurre i falsi positivi legati a suggestione o altri fattori concernenti la sfera emotiva. In genere i sintomi ricompaiono nel giro di qualche ora, al massimo qualche giorno: ulteriore dato diagnostico visto che nell’allergia i sintomi si ripresentano entro due ore.

In ogni caso è fondamentale che chi sospetta di avere una patologia di questo tipo eviti di avviare una dieta priva di glutine senza il supporto di professionisti specializzati. Si corre infatti il rischio di creare ulteriore confusione rendendo non affidabili grli strumenti di indagine a disposizione e portando quindi a diagnosi errate che, nel caso si sia di fronte a celiachia, possono avere conseguenze gravi. Intere classi di alimenti vanno escluse soltanto quando vi sia una ragione precisa, una condizione che ne richieda l’eliminazione per il benessere del paziente, diagnosticata con strumenti e procedure affidabili, mai per moda, per sentito dire o consigliato dal guru di turno (vi conosce? conosce la vostra storia, le vostre abitudini?), o per “prova, che tanto che male può fare”, perché in questo caso di male può farlo, e parecchio. [11, 12, 13, 14]

La sensibilità al glutine non celiaca esiste, ma non va di certo diagnosticata e trattata in modalità fai da te. Si corre il rischio di impedire la diagnosi di patologie più serie. Se pensate che i cereali siano un problema parlatene con il vostro medico e con professionisti del settore, per una diagnosi sicura e per un trattamento adeguato.

Il trattamento della sensibilità al glutine non celiaca

Proporre un trattamento per questa patologia è difficile, ancora non sappiamo molte cose: si tratta di una condizione permanente o transitoria? la soglia di sensibilità è la stessa per tutti o varia da individuo a individuo? o addirittura la sensibilità varia nello stesso soggetto al trascorrere del tempo?

In queste condizioni, una volta che sia stato seguito un appropriato iter diagnostico, l’approccio razionale sarebbe quello di proporre una dieta priva di glutine per un periodo di tempo limitato, in genere intorno ai sei mesi, seguita da una graduale reintroduzione di alimenti contenenti glutine. Durante la fase di esclusione si devono evitare tutti i prodotti contenenti frumento, farro, orzo, segale, triticale e tutti i loro derivati. Si possono invece consumare quei cereali che sono privi di glutine come riso, mais, teff, fonio, miglio e sorgo, o pseudocereali come grano saraceno, quinoa e amaranto. La reintroduzione potrebbe partire con cereali a basso contenuto di glutine come l’avena e il farro, per passare, in assenza di sintomi, a testare successivamente  i cereali con contenuto maggiore. Una dieta di questo tipo può essere riproposta ciclicamente nel caso si osservino delle ricadute.

La sensibilità al glutine non celiaca, stando ai dati attuali, esiste, èuna patologia reale, ma è ancora un’entità sfuggente, difficile da definire e, soprattutto da diagnosticare. Il quadro è poi complicato da mode alimentari e suggestioni mediatiche che possono portare a scelte di esclusione anche in assenza di situazioni di reale necessità. Si tratta comunque di un campo in cui la ricerca sta facendo importanti progressi, e, viste le dimensioni potenziali del fenomeno, la prospettiva di poter trattare un gran numero di soggetti semplicemente con un’alimentazione mirata è allettante e riconosce la centralità delle scelte alimentari nel contribuire alla salute dell’individuo. È importante che chi sospetti di soffrirne non si balocchi con diete fai da te, ma ne parli con il proprio medico e con professionisti della nutrizione.
Siamo onnivori, si elimina quando siamo costretti e non per prova o per moda.