Per molto tempo si è ritenuto che il selenio fosse un composto tossico, un veleno per uomini e animali. Poi abbiamo capito che è un micronutriente essenziale, componente chiave di un gruppo di proteine che hanno un ruolo cruciale per la nostra salute. C’è però una differenza piccola tra un apporto insufficiente, che provoca carenza, e uno eccessivo, che può essere decisamente problematico. E il fatto che non sia facile stimare il contenuto di selenio degli alimenti non aiuta.

Il selenio è un elemento raro — scoperto ai primi dell’800 da Jöns Jacob Berzelius, uno dei padri fondatori della chimica moderna — a lungo ritenuto una sostanza tossica, un pericoloso prodotto di alcuni processi industriali e un veleno per gli animali allevati con foraggi troppo ricchi del minerale, come aveva già notato Marco Polo durante i suoi favolosi viaggi riportando l’andatura barcollante di cammelli che consumavano grandi quantità di Astragalus danicus, una pianta in grado di accumulare grandi quantità dell’elemento.

Soltanto nel 1957 Schwarz, lavorando con topi nutriti con vari tipi di lievito, dimostrò che piccole quantità di selenio erano essenziali per la salute degli animali, che in caso di carenza presentavano necrosi epatica. Una scoperta epocale che scatenò un’ondata di studi grazie ai quali furono individuate diverse patologie dovute a carenza dell’elemento, negli animali e anche nell’uomo. Fu soltanto nel 1973 che fu identificata una proteina umana contenente selenio, la glutatione perossidasi, la prima di una serie di composti definiti selenoproteine, una famiglia che ad oggi conta oltre quaranta membri diversi, alcuni dei quali svolgono un ruolo di grande importanza per il nostro benessere.

Nel 1996, quando era ormai chiara l’appartenenza del selenio al gruppo dei micronutrienti essenziali, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha proposto le prime indicazioni relative all’assunzione giornaliera dell’elemento, 34 μg/die per gli uomini , 26 μg/die per le donne, valori che sono stati più volte modificati nel tempo, man mano che nuovi dati chiarivano il ruolo e l’importanza del selenio per la nostra salute. [1, 2, 3]

A cosa serve il selenio

Il selenio è un micronutriente essenziale per l’uomo, con un contenuto totale nell’organismo che varia in funzione di area geografica e dieta, compreso in genere tra 3 e 30 mg. Questa modesta quantità dell’elemento è necessaria a garantire la normale funzionalità di alcuni enzimi, che proprio per la presenza del selenio nella loro molecola sono definiti selenoproteine.

Caratteristica di queste proteine è la presenza di una aminoacido particolare, la selenocisteina, un analogo della cisteina dove l’atomo di zolfo tipico del composto  è sostituito da uno di selenio, una sostituzione che conferisce all’aminoacido una notevole attività antiossidante.

La selenocisteina è il 21° aminoacido presente nelle proteine ma, diversamente dagli altri venti aminoacidi, non è specificato direttamente nel codice genetico: durante la sintesi proteica viene incorporato nella nascente catena proteica quando a livello dell’RNA messaggero è presente una sequenza particolare, la sequenza di inserzione della selenocisteina (SECIS), che a sua volta mette in azione uno specifico RNA transfer (Sec-tRNA) che permette di inserire la selenocisteina — ottenuta a partire dalla serina — in corrispondenza di una tripletta o codone UGA , che nel codice genetico normalmente funziona da segnale di arresto. Si tratta di un processo molto complesso e strettamente controllato che evita che la selenocisteina sia inserita per errore al posto della cisteina e che l’aminoacido, estremamente reattivo, possa  esistere libero all’interno della cellula

Dalla metà degli anni settanta ad oggi sono state identificate circa 25 diverse selenoproteine umane, per molte delle quali è stato anche chiarito il ruolo svolto nel nostro organismo. Vediamo quali sono e qual è la loro funzione.

I cibi che contengono selenio, i benefici per la salute, eccesso e carenza

Il selenio è presente in forma organica in pesci come il tonno, in molluschi e crostacei. Se vi piacciono i prodotti che vengono dal mare non dovreste avere problemi con questo elemento.

Glutatione perossidasi

Si tratta di un enzima che ha funzione antiossidante, in grado di ridurre radicali liberi potenzialmente dannosi, come il perossido di idrogeno (H2O2) o grassi perossidati, con formazione di acqua e alcoli. La glutatione perossidasi ossidata viene poi riportata alla forma ridotta a spese del glutatione. Sono state identificate cinque forme diverse di glutatione perossidasi (abbreviata in GPx) GPx1 è presente nel citosol cellulare, GPX2 è presente nelle mucose di intestino e polmone, GPx3 è presente nella tiroide e nei reni, GPx6 è presente nelle mucose nasali. GPx4 è molto abbondante a livello dei testicoli e assieme alla selenoproteina P protegge lo spermatozoo in maturazione dallo stress ossidativo, uno dei fattori che maggiormente possono concorrere alla riduzione della fertilità.

Tioredoxina reduttasi

Della tioredoxina reduttasi (TrxR) sono note tre forme diverse —  TrxR1 tipica del citoplasma, TrxR2 presente nei mitocondri e TrxR3 nei testicoli — che hanno tutte funzione antiossidante, partecipano alla rigenerazione di piccole molecole antiossidanti come la vitamina C, la vitamina E e il coenzima Q10, e intervengono nella regolazione di delicati processi di segnalazione cellulare che dipendono dalla presenza e dai rapporti tra sostanze in forma ridotta o ossidata.

Iodotironina deiodinasi

La maggior parte dell’ormone  prodotto dalla tiroide è secreto in forma a ridotta attività — tiroxina o T4 — che viene convertito alla forma maggiormente attiva — triiodotironina o T3 — per rimozione di un atomo di iodio da parte della iodotironina deiodinasi (DIO). Anche qui esistono tre forme diverse, due delle quali (DIO1 e DIO2) catalizzano la conversione dell’ormone alla forma attiva, mentre la terza, con la rimozione di un ulteriore atomo di iodio dal T3, converte l’ormone ad una forma inattiva. Si tratta quindi di un enzima essenziale nella regolazione fine della funzione tiroidea, necessario anche per la maturazione degli organi visivi e uditivi durante lo sviluppo fetale.

Selenoproteina P

È l’unica selenoproteina che contiene residui multipli di selenocisteina, è prodotta nel fegato ed è il principale trasportatore di selenio ai tessuti periferici. Il suo apporto di selenio è essenziale per la normale funzionalità di glutatione perossidasi e tioredoxina reduttasi. L’adeguata disponibilità di questa proteina è cruciale a livello del cervello e dei testicoli dove garantisce l’omeostasi del prezioso elemento, preservando la funzionalità di questi organi  anche in condizioni di carenza di selenio.

Selenoproteine W, T, H e V

La precisa funzione di queste proteine non è nota anche se la struttura fa pensare che svolgano azione antiossidante. La selenoproteina W è estremamente abbondante nell’organismo, soprattutto nei muscoli e nel cervello, e la sua produzione pare essere regolata dalla disponibilità di selenio nella dieta. In diversi tessuti interviene nel controllo di processi legati a sviluppo e differenziazione della cellula, un fatto che potrebbe spiegare l’aumento del rischio per alcuni tipi di tumori legato ad un elevato apporto di selenio.

Selenoproteina S e selenoproteina K

Si tratta di proteine che hanno sequenza diversa ma struttura tridimensionale, e probabilmente funzioni, molto simili. Entrambe gli enzimi partecipano all’eliminazione di proteine mal ripiegate e quindi con funzionalità ridotta o alterata. Inoltre paiono essere coinvolte nella regolazione di processi infiammatori e nella risposta immunitaria, visto che mutazioni nei geni che la codificano sono associate a maggior incidenza di tiroidite di Hashimoto e aumentata suscettibilità a preeclampsia, patologie cardiovascolari e tumori dello stomaco e dell’intestino.

Selenofostato sintasi 2

È un piccolo enzima che catalizza la sintesi di seleniofosfato, uno dei passaggi fondamentali nella sintesi della seleniocisteina, e probabilmente svolge un ruolo di autoregolazione di questo delicato processo alla base della sintesi di tutte le selenoproteine.

Metionina solfossido reduttasi B1

La metionina solfossido reduttasi protegge la metionina — un aminoacido contenente zolfo — dall’azione dei radicali liberi e quindi restituisce funzionalità alle proteine che la contengono quando vengono danneggiate dallo stress ossidativo. La sua presenza pare essere importante per garantire mobilità  e attività di fagocitosi dei macrofagi e nella regolazione di quei processi cellulari che dipendono dallo stato di ossidazione di specifici residui di metionina.

Selenoproteina 15 e selenoproteina M

Si tratta di due proteine dalle caratteristiche simili, con la selenoproteina 15 (Sep15) abbondante nella prostata, nel fegato, nei reni e nei testicoli, mentre la selenoproteina M (SelM) è espressa in particolar modo nel cervello.
Sel15 è coinvolta nei meccanismi che controllano i processi di ripiegamento delle glicoprotine e probabilmente è anche coinvolta in meccanismi che interferiscono con lo sviluppo di cellule cancerose.  Meno chiaro è il ruolo di SelM che potrebbe partecipare alla riduzione dello stress ossidativo nei neuroni, contribuendo alla prevenzione di patologie degenerative del sistema nervoso. Curiosamente, topi in cui il gene per SelM è stato eliminato non presentano problemi di tipo neurologico ma tendono a diventare obesi con maggior facilità.

Selenoproteina I, selenoproteina O e selenoproteina N

La selenoproteina I è presente a livello della membrana cellulare dove probabilmente partecipa alla sintesi di fosfolipidi, tuttavia il suo ruolo preciso è ancora sconosciuto.
La selenoproteina O è presente in un gran numero di specie — in lieviti, batteri, piante e animali — tuttavia la sua struttura è ancora poco nota e la sua funzione rimane sconosciuta.
La selenoproteina N è presente nel muscolo e probabilmente è coinvolta nei processi di rigenerazione del tessuto muscolare dopo stress meccanico o lesione e nei processi che regolano la mobilizzazione intracellulare del calcio, fenomeno alla base della contrazione muscolare. [1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10]

Gli alimenti ricchi di selenio, l'importanza per la salute, le selenoproteine

Il selenio è presente nei vegetali in quantità che dipendono dalla presenza dell’elemento nel terreno. Ci sono però verdure come l’aglio o i broccoli che sono in grado di concentrarlo anche quando il suolo non ne è particolarmente ricco.

Carenza di selenio

I problemi legati alla carenza di selenio sono stati rilevati inizialmente in animali, necrosi epatica nel ratto, diatesi essudativa nel pollo e malattia del muscolo bianco nei bovini. Nell’uomo una carenza cronica dell’elemento provoca due gravi malattie, endemiche in certe aree del pianeta:

  • La malattia di Keshan prende il nome da una zona della Cina in cui terreno e acque sono estremamente povere dell’elemento. Si tratta di una cardiomiopatia caratterizzata da insufficienza cardiaca più o meno grave. È possibile prevenire la malattia o arrestarne il decorso con adeguata integrazione di selenio. Non è noto il meccanismo preciso che lega la carenza di selenio ai danni al muscolo cardiaco, tuttavia sembra che sia implicata una riduzione dell’attività della glutatione perossidasi, che in questa popolazione è amplificata da alcune caratteristiche genetiche, e probabilmente dalla diffusione endemica nell’area di  un virus — Coxsackie virus B3 — che in soggetti sottoposti al forte stress ossidativo dovuto alla carenza di selenio subirebbe mutazioni in grado di renderlo particolarmente aggressivo nei confronti del tessuto cardiaco.
  • La malattia di Keshin-Beck è invece tipica di zone interne dell’Asia — dal Tibet, alla Cina centrale, fino alla Siberia — anche queste aree molto povere di selenio. La malattia colpisce le cartilagini articolari, provocando osteoartrosi, e nei bambini può provocare nanismo. Anche qui l’integrazione con selenio si è mostrata in grado di prevenire la a patologia che comunque, come il Keshan, ha probabilmente origini multifattoriali ed è legata anche a carenza di iodio, al consumo di cereali mal conservati contenenti tossine e all’utilizzo di acque contaminate.

Negli esseri umani quindi i sintomi della carenza grave di selenio sono tipicamente legati al muscolo cardiaco e alle articolazioni, mentre una carenza lieve è associata a infertilità maschile, tumori della prostata e patologie neurologiche. Spesso gli effetti di una carenza di selenio sono amplificati da una carenza di vitamina E, con integrazione di entrambe le sostanze in grado di mitigare i sintomi presenti.

La carenza di selenio può provocare problemi nei processi metabolici che riguardano gli ormoni tiroidei. In realtà  la tiroide è rifornita di selenio in maniera preferenziale, anche in condizioni di ridotta disponibilità dell’elemento, tuttavia quando la carenza si accompagna a processi infiammatori la funzione tiroidea può risentirne. L’integrazione è  risultata efficace in presenza di tiroidite di Hashimoto ma i risultati sono controversi in altre patologie. Nel caso della tiroide probabilmente, oltre alla carenza di selenio, è fattore importante una concomitante carenza di iodio.

In pazienti affetti da AIDS spesso si ha carenza di diversi micronutrienti, tra cui il selenio. Si ritiene che in questi soggetti possa essere l’azione del virus a livello dei linfociti T a ridurre la presenza di molecole a funzione antiossidante contenenti l’elemento, particolarmente glutatione perossidasi e tioredossina reduttasi. Studi clinici in cui l’integrazione con selenio è andata ad affiancare la terapia farmacologica antiretrovirale hanno dato risultati promettenti, specie quando oltre al selenio sono state integrate vitamine B, C ed E, ma sul tema sono necessari studi più approfonditi.

Anche la sepsi — un severo stato di infiammazione sistemica dovuto al diffondersi di agenti patogeni a livello di tessuti, fluidi e cavità corporee che sono sterili in condizioni normali — causa un profondo stress ossidativo. Studi clinici hanno mostrato che l’utilizzo di integrazione di selenio per via endovenosa ha ridotto la mortalità in questa grave condizione, anche se ancora manca un protocollo relativo a questo particolare utilizzo dell’elemento. [11, 12, 13, 14, 15, 16]

Selenio, i rischi dell’eccesso

Per il selenio esiste un intervallo molto piccolo tra una dose insufficiente, che alla lunga provoca carenza, e una dose eccessiva che può causare problemi molto severi. Alcune specie vegetali sono in grado di accumulare quantità enormi di questo elemento e un consumo eccessivo e continuato può causare una sorta di avvelenamento caratterizzato da vomito, nausea, diarrea, debolezza e problemi neurologici.

Quando l’eccesso di selenio è cronico, accanto ai sintomi gastrointestinali, si registrano caduta dei capelli, infertilità maschile, fragilità delle unghie, uno spiacevole odore di aglio dovuto all’eliminazione di composti del selenio a livello dei polmoni, alterazioni del metabolismo degli ormoni tiroidei e di altri ormoni.

Molti studi epidemiologici hanno mostrato che un buon apporto di selenio e adeguati livelli di selenio nell’organismo sono protettivi nei confronti del cancro della prostata e del seno, dati confermati anche da piccoli studi di intervento su soggetti carenti. Tuttavia lavori in cui l’integrazione è stata fornita a soggetti con livelli di selenio nella norma hanno dato risultati controversi e in alcuni casi è stato necessario interromperli per l’aumentato rischio di diabete di tipo 2, probabilmente legato all’eccesso dell’elemento e a una elevata attività della selenoproteina P che, si è visto in alcuni studi, può contribuire allo sviluppo di resistenza all’insulina.

Diversi studi e meta analisi sull’integrazione del selenio per la prevenzione di tumori o patologie cardiovascolari hanno dato risultati nulli o addirittura hanno fatto registrare un leggero aumento del rischio e di alcuni indici specifici, come un aumento dei lipidi ematici in popolazioni con normali livello di selenio sottoposte ad integrazione.

È evidente che l’integrazione con selenio debba essere valutata con estrema attenzione e sia opportuna — come sempre dovrebbe essere — soltanto in quei soggetti che presentano carenza dell’elemento o che soffrono di patologie che possono determinarne un assorbimento ridotto o un utilizzo molto elevato.

Anche la forma con cui il selenio viene fornito è importante, con selenio organico, in forma soprattutto di seleniometionina, decisamente più efficace del selenio inorganico, in forma di sodio selenito o sodio selenato. Alimenti arricchiti di selenio — come vegetali coltivati in terreni concimati con selenio, nei quali il selenio è incorporato in proteine sotto forma di selenometionina — si sono mostrati un poco più efficaci nell’aumentare l’attività della glutatione perossidasi rispetto a integratori con il solo elemento. [17, 18, 19, 20]

Il fabbisogno di selenio

Il selenio è un micronutriente critico per la salute e il benessere, un apporto adeguato è cruciale per la sintesi delle varie selenoproteine, alcuni lavori fanno supporre che livelli relativamente elevati possano avere un effetto protettivo nei confronti di alcuni tipi di tumore ma, nello stesso tempo, livelli eccessivamente elevati possono incrementare il rischio di diabete e alcune forme tumorali e sfociare in una vera e propria tossicosi.

È molto importante quindi poter valutare lo status nutrizionale relativo al selenio, compito non facile poiché si tratta del prodotto di processi diversi — presenza e disponibilità negli alimenti, assorbimento, ritenzione e metabolismo — ognuno dei quali non è facile stimare.

L’apporto di selenio con la dieta può variare in misura rilevante e dipende dall’area in cui è stato prodotto il cibo consumato e anche dal tipo di cibo in esame. Il contenuto di selenio negli alimenti consumati è legato al contenuto di selenio nel terreno e nelle acque, alla capacità di accumulo dei vegetali coltivati e alla forma con cui il selenio è presente negli alimenti consumati. Il selenio in forma inorganica è scarsamente assorbito, mentre quello in forma organica, soprattutto selenometionina, è assorbita in misura maggiore.

Lo status del selenio può essere valutato misurandone la presenza nel plasma o negli eritrociti, valori che però presentano notevole variabilità e poco si prestano a stabilire un range di riferimento, nelle urine, dato utile soprattutto in popolazione con scarso apporto dell’elemento, o valutando la quantità di selenio necessaria a garantire la normale attività di selenoproteine di riferimento, in particolar modo glutatione perossidasi e selenoproteina P.

La quantità minima giornaliera necessaria ad evitare malattie da carenza, come la Keshan, è di circa 20 μg/die, quella per garantire una adeguata attività della iodotironina deiodinasi è di 20 μg/die, per glutatione perossidasi e selenoproteina P si sale a circa 45-50 μg/die, mentre riduzione del rischio per alcuni tipi di cancro si avrebbe con valori intorno a 120 μg/die.

In Italia l’apporto giornaliero consigliato, diviso per fasce di età, è:

  • Neonati fino a 6 mesi: 15 μg/die
  • Bambini fino a 3 anni: 20 μg/die
  • Bambini fino a 8 anni: 30μg/die
  • Bambini fino a 13 anni: 40 μg/die
  • Adolescenti: 55 μg/die
  • Adulti: 55 μg/die
  • Donne in gravidanza e allattamento: 70 μg/die

L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare)  consiglia valori un poco più elevati per gli adulti, 70 μg/die, e per le donne in gravidanza e allattamento, 85 μg/die.

Un buon apporto di vitamina E può in parte compensare un apporto non elevato di selenio, tuttavia carenza di vitamina E fa aumentare il bisogno dell’elemento.

Il selenio può ridurre l’assorbimento dei metalli pesanti presenti in alcuni cibi, soprattutto cadmio e mercurio presenti nel pesce, tuttavia il legame del selenio agli ioni metallici ne riduce la disponibilità.

Anche alcuni farmaci, gli acidi mercaptocarbossilici, possono interferire con l’assorbimento del selenio, mentre composti organici contenenti oro utilizzati per trattare alcune patologie autoimmuni, possono ridurre l’attività delle selenoproteine, .

Anche alcuni aspetti dello stile di vita che comportano un notevole stress ossidativo possono determinare una riduzione dei livelli di selenio: nei fumatori il livello di selenio è generalmente basso mentre un’attività fisica intensa potrebbe determinare un aumento del fabbisogno di sostanze ad azione antiossidante come selenio e vitamina E. L’integrazione con antiossidanti negli atleti è tuttavia un tema molto dibattuto, con lavori che hanno mostrato effetti variabili, a volta anche negativi; situazione che richiede studi più accurati prima di poter consigliare integrazione con selenio in soggetti sottoposti a forte impegno fisico.

Apporti cronicamente superiori a 300 μg/die possono provocare problemi e il livello massimo di assunzione tollerabile è stabilito a 400μg/die per gli adulti. [21 , 22 , 23 , 24 , 25]

Il selenio negli alimenti, eccesso e carenza, fabbisogno giornaliero e salute

Le noci del Brasile sono particolarmente ricche di selenio. Una singola noce soddisfa il fabbisogno giornaliero dell’elemento. Attenzione a non esagerare, però: quattro o cinque noci e siamo già al disopra del livello massimo di assunzione tollerabile.

In quali alimenti si trova il selenio?

Il selenio presente nei cibi è assorbito con maggior efficienza quando si trova in forma organica, incluso nelle proteine in forma di selenometionina, soprattutto in alimenti di origine vegetale, o di selenocisteina, negli alimenti di origine animale.

I cibi più ricchi di  selenio sono tonno (112 μg/100g),  vongole e cozze (50-60 μg/100g), gamberi e granchi (30 μg/100g), sardine, sogliole e trigle (30-40 μg/100g). Buona la presenza in carne bovina, ovina e suina, particolarmente nel fegato, dove si può arrivare a 40 μg/100g.

La presenza nei vegetali dipende in larga misura dal terreno, ma esistono delle piante, noci del Brasile, aglio e molte brassicacee, in grado di accumulare con grande efficienza il selenio, concentrandolo in misura rilevante. Una singola noce del Brasile, purché cresciuta in un terreno ricco dell’elemento, arriva a fornire il fabbisogno giornaliero e quattro o cinque noci possono superare la soglia dell’apporto giornaliero tollerabile.

La forma in cui il selenio è presente nei vegetali dipende dalla specie e dalle varietà, con notevoli variazioni delle quantità di sali inorganici e di selenio organico: cereali, noci e semi sono ricchi soprattutto di selenometionina mentre in aglio e brassicacee abbondano selenati, selenocisteina e derivati. La presenza di selenio in frutta e verdure è invece decisamente ridotta. La cottura degli alimenti riduce la presenza di selenio a causa della formazione di composti volatili, con perdite che possono superare il 10%. La presenza di proteine, vitamina A, C ed E aumenta la disponibilità e l’assorbimento del selenio presente nei cibi, che si riduce invece in presenza di zolfo e di metalli pesanti.

Sul mercato sono disponibili alimenti con elevato contenuto di selenio, sia vegetali coltivati in terreni arricchiti, sia alimenti fortificati, dal lievito arricchito con selenio a maiali e polli allevati con mangimi ricchi dell’elemento. Un singolo uovo di gallina così allevata può coprire fino al 50% del fabbisogno giornaliero di selenio. Rimane ovviamente di importanza primaria una dieta varia e ricca, in grado nella maggior parte dei casi, di assicurare un apporto adeguato di tutti i nutrienti necessari, selenio compreso.  [26, 27, 28, 29, 30]