La dieta chetogenica è conosciuta dai più come dieta dimagrante ma nasce in realtà come strumento terapeutico per il trattamento dell’epilessia infantile, soprattutto in quei casi in cui i farmaci non risultano efficaci. E si tratta di uno strumento davvero efficace, come mostra la gran mole di studi disponibili sul tema.

L’utilizzo della dieta chetogenica per la cura dell’epilessia risale agli anni venti del secolo scorso. È proprio in quel periodo che un osteopata del Michigan, Hugh W. Conklin, cominciò a utilizzare in maniera sistematica il digiuno per la cura i questa patologia. Il buon Conklin era ispirato dalle teorie di un celebre guru del periodo, un tal Bernarr Macfadden, convinto che la digestione fosse un vero e proprio spreco di risorse e che due o tre settimane di astinenza dal cibo potessero curare ogni male. Conklin riteneva che la causa dell’epilessia fosse la produzione di tossine da parte dell’intestino, tossine  che di tanto in tanto venivano scaricate in circolo provocando la crisi epilettica: grazie al digiuno queste sostanze potevano essere eliminate, con grande giovamento per il paziente che, nella maggior parte dei casi, mostrava un’importante riduzione del numero delle crisi.

Il lavoro di Conklin attirò l’attenzione di H. Rawle Geyelin, un celebre endocrinologo di New York che contribuì a rendere la “dieta d’acqua” un trattamento ampiamente utilizzato per la cura dell’epilessia, specie in quei casi in cui la terapia farmacologica  non dava alcun risultato.

Il digiuno proposto da Conklin era davvero duro: tenere dei bambini a sola acqua per 25 giorni era molto difficile. Per rendere il trattamento più tollerabile Russel Wilder, endocrinologo della Mayo Clinic, propose di utilizzare una dieta ricca di grassi e povera di zuccheri, in grado di portare alla formazione di corpi chetonici e di garantire risultati comparabili a quelli ottenuti con il digiuno completo. Fu M.G. Peterman a indicare la composizione ottimale di questa dieta: un grammo di proteine per chilogrammo di peso corporeo, 10-15 grammi di carboidrati al giorno e il resto dell’apporto calorico garantito da grassi, la dieta chetogenica classica ancor oggi utilizzata in campo neurologico.

Negli anni successivi l’utilizzo della chetogenica incontrò un grande successo, che tuttavia terminò bruscamente  nel 1938 con l’introduzione di farmaci più efficaci, consegnando il trattamento dietologico dell’epilessia alle note di polverosi libri di testo.

Le fortune della chetogenica cambiarono nel 1994 quando i media americani riportarono con enfasi la storia del piccolo Charlie, figlio di un noto produttore cinematografico, curato da una forma intrattabile di epilessia al Johns Hopkins Hospital, dopo che decine di trattamenti diversi, convenzionali e alternativi, avevano fallito. Il padre, entusiasta dei risultati ottenuti, creò la Charlie Foundation per promuovere l’utilizzo della dieta e finanziare studi sul meccanismo d’azione, contribuendo in maniera decisiva alla nuova popolarità della chetogenica come strumento per il trattamento dell’epilessia in ambito pediatrico. [1, 2]

Dieta chetogenica ed epilessia: i meccanismi di azione

La dieta chetogenica sfrutta  alcuni aspetti particolari della fisiologia umana: quando la quantità di zuccheri introdotta con il cibo è molto ridotta e le scorte a livello di fegato e tessuti sono pressoché esaurite, la maggior parte di organi e tessuti passa ad utilizzare acidi grassi come fonte di energia. Alcuni — il cervello, i globuli rossi e le fibre muscolari di tipo II — non sono però in grado di utilizzare gli acidi grassi liberi e in condizioni di carenza di glucosio utilizzano invece i corpi chetonici, — acetone, acetoacetato  e acido β-idrossibutirrico — sostanze prodotte nel fegato utilizzando come materia prima gli acidi grassi.

L’aumento della concentrazione di corpi chetonici nel sangue, a causa del digiuno o di una dieta mirata, è una condizione del tutto naturale definita chetosi. Nella chetosi fisiologica la presenza di corpi chetonici nel sangue passa da 0.1 mmol/l fino a circa 7-8 mmol/l, valore su cui si attesta in maniera stabile nel tempo purché l’apporto di carboidrati sia mantenuto al di sotto di certi livelli . (Maggiori informazioni sulla fisologia della dieta chetogenica le trovate in questo articolo)

Secondo le ipotesi più accreditate sarebbero proprio i corpi chetonici a ridurre  l’eccitabilità dei neuroni coinvolti nella genesi delle crisi epilettiche,  modulando la produzione e l’azione di specifici neurotrasmettitori: in particolar modo la presenza di acido β-idrossibutirrico porta ad una diminuzione della produzione di glutammato, un neurotrasmettitore fortemente eccitatorio, con aumento dei livelli di GABA (Acido γ-amminobutirrico), il principale neurotrasmettitore inibitorio.

Si ritiene che i corpi chetonici possano anche contribuire a migliorare la funzione mitocondriale dei neuroni, con aumento della produzione di ATP e riduzione della eccitabilità del neurone. A questa riduzione potrebbe concorrere anche la maggior disponibilità di acidi grassi polinsaturi, dovuta all’aumentato apporto di grassi con la dieta. Un recente studio su modello animale ipotizza che possano svolgere un qualche ruolo anche le modifiche del microbiota intestinale determinate dalla particolare composizione della dieta, con un ruolo protettivo associato ad Akkemansia e Parabacteroidetes.

L’efficacia della dieta chetogenica è notevole, come testimoniato anche da recenti meta-analisi che indicano come il trattamento dietetico possa portare ad una riduzione degli attacchi del 40-50%, con una efficacia comparabile a quelle dei moderni farmaci antiepilettici. [3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12]

Dieta chetogenica ed epilessia: le modalità

I vari tipi di dieta chetogenica utilizzati nel trattamento dell’epilessia sono delle vere e proprie terapie che necessitano di una estrema attenzione alla quantità e alla qualità degli alimenti consumati.

Si tratta di interventi che vanno intrapresi esclusivamente sotto controllo medico. La scelta di un intervento dietetico per il trattamento di questa patologia deve valutarne l’opportunità e la sostenibilità nel tempo, individuando quei soggetti in cui la dieta può essere effettivamente utile, monitorandone in maniera costante la corretta applicazione, minimizzando i potenziali effetti collaterali, rari ma comunque presenti in un ristretto numero di casi: stitichezza, calcoli renali, aumento del colesterolo, leggera riduzione della crescita. Come per tutte le terapie i benefici devono essere valutati assieme ai possibili svantaggi e a farlo deve essere personale altamente qualificato.

Elemento chiave che caratterizza i vari tipi di dieta chetogenica impiegati in questo ambito è il rapporto chetogenico, ossia il rapporto  tra  la quantità di lipidi e la somma dei carboidrati e delle proteine consumati ogni giorno.

Rapporto chetogenico = Lipidi (g) / Proteine (g) + Carboidrati (g)

Tanto più elevato è il rapporto tanto più profonda dovrebbe essere la chetosi raggiunta. Le diete utilizzate nel trattamento dell’epilessia prevedono un rapporto chetogenico omolto elevato, 4:1 o 3:1, anche se in alcuni modelli si può scendere un poco più in basso, fino a 1:1. Si tratta di diete non semplici da seguire, spesso poco gradite ai piccoli pazienti,  ma ben tollerate nel tempo, con effetti collaterali in genere transitori — disidratazione, nausea, stipsi — facilmente gestibili con le dovute attenzioni.

I protocolli più comunemente utilizzati sono quattro, caratterizzati da un diverso rapporto chetogenico.

La dieta chetogenica classica

La dieta chetogenica classica è quella proposta originariamente negli anni 20 del secolo scorso, una dieta davvero rigida caratterizzata da un rapporto chetogenico di 4:1. Si tratta di un rapporto decisamente spostato a favore dei lipidi, in modo da garantire una chetosi profonda, la più profonda possibile, un requisito essenziale per il buon successo della dieta.

Questa dieta prevede che quasi il 90% dell’apporto calorico giornaliero provenga dai grassi: come potete immaginare non è né facile da calcolare né da seguire, un trionfo di oli, creme, panna e maionese che sulla carta potrebbe anche apparire invitante ma che nel lungo periodo è monotona e  pesante.

Una dieta di questo tipo richiede una notevole attenzione nella scelta dei cibi da consumare e nelle quantità utilizzate nei vari pasti e non lascia molto margine a errori o a concessioni al di fuori di quanto previsto dal piano alimentare: spuntini a base di tre olive o di una singola noce sono indulgenze che già potrebbero pregiudicare un corretto raggiungimento del rapporto chetogenico previsto.

La dieta è davvero efficace e gli studi clinici mostrano che riesce a ridurre in maniera rilevanteil numero di crisi in oltre il 50% dei pazienti trattati, senza un effetto apprezzabile sulla crescita e con effetti collaterali di entità modesta, in genere controllabili grazie ad un attento monitoraggio del soggetto.

Tuttavia l’estrema attenzione richiesta, il fatto che spesso la fase di induzione della chetosi richieda un breve periodo di digiuno e venga di solito eseguita in ambiente ospedaliero, la necessità di utilizzare integratori o alimenti appositamente formulati, la difficoltà che le famiglie incontrano nel seguire per lunghi periodi di tempo questo regime alimentare, sono tutti fattori che hanno spinto a cercare nuovi modelli di dieta, ugualmente efficaci ma più semplici da seguire.

Un esempio interessante è quello utilizzato dalla Dottoressa Tagliabue dell’Università di Pavia in cui il rapporto chetogenico ottimale viene ottenuto in maniera graduale, nell’arco di quattro settimane. In questo modo è possibile valutare se gli effetti positivi della dieta possono essere raggiunti anche con rapporti inferiori, 3:1 o addirittura 2:1 , rapporti che permettono una formulazione molto più  facile da seguire e mantenere nel tempo.

La dieta chetogenicaMCT

A metà degli anni 70, durante il periodo di eclissi della dieta chetogenica, il dottor Huttenlocher dell’università di Chicago propose una variante della dieta in cui i grassi della chetogenica classica, soprattutto trigliceridi con  acidi grassi a catena lunga,  erano in parte sostituiti da trigliceridi con acidi grassi a catena media (Medium Chain Trygliceride).

Si tratta di acidi grassi che possono essere assorbiti con maggior efficienza, portati al fegato in maniera diretta e utilizzati nelle cellule per produrre in energia senza il coinvolgimento di sistemi di trasporto a livello dei mitocondri. In pratica è possibile mantenere un rapporto chetogenico 4:1 con un apporto calorico derivante dai grassi di appena il 60-75%. Un altro 10-20% è ottenuto da grassi a catena lunga, un 10% da proteine e un notevole 15-20% dai carboidrati. Il tutto permette una dieta un poco più varia ed equilibrata, con un notevole inconveniente: gli MCT, ottenuti spesso da olio di cocco e altre sorgenti vegetali, quando consumati in grandi quantità in alcuni pazienti possono causare disturbi gastrici, nausea e vomito.

Sono tuttavia state proposte formulazioni di questo protocollo con un apporto di MCT più basso e meglio tollerato, intorno al 30%, e una fase di induzione della chetosi più lenta che permette all’organismo di adattarsi al consumo di questi grassi che di solito sono presenti nella dieta in quantità non molto elevate.

La dieta MCT si è dimostrata una valida alternativa alla chetogenica classica, con effetti positivi anche con rapporto chetogenico di 3:1. La difficoltà maggiore risulta essere il rifornimento con grassi e oli ad elevato contenuto di MCT e il fatto che aroma e gusto degli alimenti preparati con questi ingredienti spesso non è molto gradito alpaziente, tanto che è proprio questo tipo di chetogenica a registrare il maggior numero di abbandoni nel corso della terapia.

MAD: la dieta Atkins modificata

MAD in inglese significa pazzo ma questo caso è anche l’acronimo di Modified Atkins Diet, dieta Atkins modificata. La dieta Atkins è un protocollo dietetico a basso contenuto di carboidrati ideata da Robert Atkins, un cardiologo, per il trattamento del sovrappeso e dell’obesità.

Il tratto comune tra la dieta Atkins e la chetogenica è la chetosi determinata da un ridotto consumo di carboidrati e da un ricorso più o meno libero ai grassi. La MAD non propone una restrizione dell’apporto calorico, prevede invece un apporto elevato di proteine e in genere risulta più facile da seguire ed è più facilmente tollerata nel lungo periodo. L’apporto calorico proveniente dai grassi è intorno al 65% e il rapporto chetogenico è intorno a 2:1 o inferiore. Per bambini o adolescenti la quantità giornaliera di carboidrati permessa è di circa 10 grammi, mentre per gli adulti si può arrivare sino a 20 grammi, quantità che possono essere aumentate leggermente nel corso della dieta.

L’efficacia della dieta, a partire dai primi casi del 2003 che ne hanno fatto intuire il possibile uso, è rilevante e ancor più interessante è il fatto che possa essere seguita utilizzando alimenti naturali, con un ricorso minimo a integratori mirati.

LGIT La dieta a basso indice glicemico

La dieta a basso indice glicemico (Low Glicemix Index Treatment) è stata sviluppata nel 2002 da Pfeifer e Thiele, come un’alternativa meno restrittiva della chetogenica classica. Si tratta di una dieta dove l’apporto calorico dovuto ai grassi scende al 60%, con un rapporto chetogenico di solito pari o inferiore a 1:1. La quantità giornaliera di carboidrati sale fino a 40-60 grammi con una importante limitazione: i cibi utilizzati devono avere un indice glicemico inferiore a 50. Tra gli alimenti che è possibile consumare senza problemi ci sono anche pomodori, melanzane, fagioli di soia, pere, mele e pesche, cibi che nelle altre formulazioni non sono permessi per il contenuto troppo elevato di zuccheri.

L’apporto proteico, i grassi e i carboidrati consumati vengono modulati  sulla esigenze del paziente e permettono una selezione molto ampia di cibi da consumare, senza l’obbligo di misurare ogni singola porzione.

L’efficacia nel trattamento dell’epilessia  è comparabile con quello degli altri protocolli chetogenici, con una riduzione significativa degli effetti collaterali, una maggior facilità di gestione e maggior tollerabilità nel tempo.

Inoltre una dieta di questo tipo si è dimostrata efficace anche nel trattamento dell’obesità, anche infantile, e del diabete, con riduzione dei livelli ematici di glucosio, insulina e d emoglobina glicata.

Anche questo protocollo altera il metabolismo privilegiando l’utilizzo dei grassi come principale sorgente di energia, tuttavia non porta ad un aumento nella produzione dei corpi chetonici comparabile a quello degli altri modelli: potrebbe essere quindi il miglior utilizzo dei substrati, la stabilizzazione dei livelli di glucosio e la riduzione dello stress dovuto ad un eccesso di zuccheri, il meccanismo alla base dell’efficacia della LGIT.

La dieta chetogenica nel trattamento dell'epilessia e l'efficacia nei casi di patologia resistente ai farmaci

L’utilizzo della dieta chetogenica nel trattamento dell’epilessia richiede una scelta molto attenta dei cibi da consumare: l’obiettivo è quello di mantenere un livello di chetoni nel sangue il più elevato possibile. Spazio quindi al consumo di alimenti che a qualcuno potrebbero sembrare non salutari ma che in questo caso rispondono a esigenze ben precise.

Dieta chetogenica ed epilessia: alcune considerazioni

La dieta chetogenica è probabilmente l’unica dieta nata come terapia per una patologia specifica e quella patologia è l’epilessia, particolarmente in età pediatrica . Essendo una vera e propria terapia non può certo essere utilizzata in maniera indiscriminata, richiede anzi notevole attenzione e una costante supervisione medica.

I pazienti devono essere selezionati e deve essere valutata l’opportunità dell’utilizzo della terapia dietetica, ci sono risposte diverse a seconda della particolare natura della patologia e ci sono anche delle controindicazioni, assolute e relative, da tenere in considerazione.

Gli esperti del Johns Hopkins Hospital sottolineano che la dieta chetogenica non dovrebbe essere considerata come ultima risorsa nel trattamento dell’epilessia, un tentativo disperato dopo che tutti i farmaci sono risultati inefficaci. Il consiglio è invece di valutare l’utilizzo della dieta nelle prime fasi dell’epilessia, già dopo il fallimento di due diverse terapie farmacologiche.

La dieta deve essere calcolata con attenzione, letteralmente tagliata su misura del paziente: un professionista preparato saprà adattarla anche a esigenze particolari, compresi problemi di allergia o intolleranza, indicando il tipo di alimenti da utilizzare, le quantità precise da consumare, la rotazione dei cibi, la necessità di utilizzare integratori o l’opportunità di impiegare prodotti specificamente pensati per diete di questo tipo.

Sta ai sanitari valutare se sia necessario o meno un periodo di induzione, una breve fase di digiuno che favorisce il veloce raggiungimento dello stato di chetosi; questo digiuno iniziale, secondo alcuni studi, potrebbe permettere una più rapida efficacia nel controllo degli attacchi, ma in soggetti instabili, disidratati o sottopeso potrebbe essere saltato, senza compromettere l’efficacia del trattamento.

La famiglia e il paziente devono essere seguiti durante tutte le fasi della dieta, con un adeguato sostegno sia materiale, nella scelta e nella preparazione dei pasti, sia psicologico, in modo da superare nel migliore dei modi le piccole e grandi difficoltà imposte dal seguire un regime alimentare così particolare per lunghi periodi di tempo.

La dieta chetogenica usata per scopi terapeutici è una dieta rigida che non tollera sgarri che purtroppo possono facilmente comportare la ricomparsa di problemi, anche in seguito al consumo di quantità davvero ridotte di carboidrati. Aggiustamenti alla dieta possono e devono essere fatti, ma vanno sempre effettuati con attenzione, tenendo conto delle condizioni del soggetto e della frequenza degli eventuali attacchi.

La dieta chetogenica può essere seguita anche per periodi di tempo molto lunghi: al Jhons Hopkins riferiscono di pazienti che hanno seguito la dieta per oltre venti anni, con effetti collaterali modesti.

L’interruzione della dieta viene effettuata in maniera graduale, su di un arco di tempo che va da 7 giorni a 6 settimane, con una riduzione progressiva del rapporto chetogenico e la reintroduzione graduale di alimenti contenenti carboidrati.

Per maggiori informazioni sull’utilizzo della dieta chetogenica nel trattamento dell’epilessia:

The Charlie Foundation il sito della Fondazione dedicata allo studio e alla promozione della dieta chetogenica nel trattamento dell’epilessia

International League Against Epilepsy una lista aggiornata dei centri in cui la dieta chetogenica viene utilizzata nel trattamento dell’epilessia. Sono compresi anche i centri italiani , con recapiti dei referenti, sotto la voce Western Europe.

The Ketogenic and Modified Atkins Diets, 6th Edition: Treatments for Epilepsy and Other Disorders Il testo base redatto dagli specialisti del Johns Hopkins Hospital

Dieta Chetogenica Classica Pro il software ideato dall’Università di Pavia per la gestione della Dieta Chetogenica Classica