Accanto alla dieta il movimento è l’altro formidabile strumento di prevenzione che ognuno di noi può utilizzare nella vita di ogni giorno per ridurre al minimo il rischio di un gran numero di patologie e per mantenere una buona forma fisica; il consiglio che spesso viene dato è quello di esercitarsi con “moderazione”, termine tanto vago quanto poco utile nel fornire un’indicazione su quanta attività fisica sia necessaria per garantire una reale protezione, senza poi parlare dell’intensità del lavoro da effettuare. Due recenti studi ci aiutano a chiarire un poco la questione.

È risultato indiscutibile di ogni studio che anche una minima attività fisica sia migliore di niente, ma il disaccordo è regnato a lungo sulla quantità ottimale di movimento da fare e sull’eventualità che “troppo” esercizio, o un lavoro pesante, troppo intenso, potessero essere addirittura dannosi. La maggior parte delle linee guida di Associazioni e Governi suggerisce circa 150 minuti settimanali di esercizio fisico, senza però specificare se si tratti del minimo indispensabile o di un valore ottimale per salute e fitness. E in effetti fino ad oggi non erano molti gli studi, ben progettati e condotti, sul tema. Due recenti lavori su un campione molto numeroso ed eterogeneo di individui, seguiti per oltre dieci anni, ha permesso di chiarire un poco la situazione, con risultati sorprendenti rispetto a certe indicazioni, forse eccessivamente prudenti, comunemente condivise.

Quanto esercizio?

Il primo studio [1] nasce da una collaborazione tra  il National Cancer Institute e l’Università di Harvard: è stato esaminato un campione di oltre 600.000 persone tra Stati Uniti ed Europa, di età compresa tra i  18 e i 90 anni, media attorno ai 60, seguito per circa 14 anni, con il fine di determinare il rapporto tra quantità di esercizio fisico e mortalità precoce per tutte le cause, da malattie cardiovascolari a tumori e malattie degenerative. Durante lo studio si sono registrate circa 100.000 morti.

L’analisi dei dati ha evidenziato che:

  • il gruppo che non pratica alcuna attività fisica ha il rischio maggiore, con un elevato numero di morti precoci;
  • anche un movimento minimo, inferiore ai 150 minuti consigliati, si è mostrato in grado di ridurre il rischio di morte precoce del 20% circa;
  • per il gruppo che si è esercitato tra i 150 e i 300 minuti la riduzione del rischio sale al 31%;
  • per i soggetti più attenti e atletici, con tempi tra i 300 e i 600 minuti settimanali (fino a 10 ore di lavoro) il rischio scende addirittura del 39%, il valore massimo registrato nello studio;
  • aumentando ulteriormente il lavoro, ben oltre le 10 ore settimanali, la riduzione del rischio si mantiene sopra il 30%, un dato sorprendente che va contro l’ opinione fino ad oggi prevalente che vede un “eccesso” di esercizio fisico come potenziale fattore di rischio.

Gli effetti protettivi si sono registrati sia nei confronti di patologie cardiovascolari sia nei confronti di diversi tipi di tumore.

Quanto intenso?

Il secondo studio [2] arriva dall’Australia. I ricercatori hanno lavorato su un campione di oltre 200.000 individui per chiarire se l’intensità dell’esercizio fisico abbia una relazione con la mortalità precoce. Fino ad oggi la posizione condivisa ha sempre privilegiato un esercizio moderato, con battito cardiaco inferiore al 60% della frequenza massima, mentre l’esercizio vigoroso, con battito cardiaco oltre il 65% della frequenza massima, è statoa lungo considerato dannoso, in grado di determinare un aumento della mortalità per tutti i tipi di cause (la frequanza cardiaca massima si calcola sottraendo la propria età al valore teorico 220. Per un soggetto di 40 anni il valore è quindi 220-40=180).

Anche questo studio ha mostrato una correlazione evidente tra attività fisica e riduzione del rischio, ma il dato significativo è che la riduzione appare ancora più importante in quei soggetti che praticavano attività vigorosa per almeno il 30% del tempo dedicato allo sport, con una riduzione pari al 9%. Questa valore aumenta di un ulteriore 13% in quei soggetti che si dedicano a un lavoro più intenso per oltre il 30% del tempo dedicato all’attività fisica. Assente invece qualsiasi aumento di mortalità nei soggetti che si allenavano con maggiore intensità.

L’effetto protettivo dell’esercizo intenso si è mostrato del tutto indipendente da sesso, massa corporea, età o presenza di condizioni patologiche particolari come il diabete mellito.

Lo studio evidenzia quidni come maggiore l’intensità dell’attività fisica praticata, maggiore la riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause.

Conclusioni

In definitiva i due studi permettono di affermare che esiste una evidente associazione tra il tempo dedicato all’attività fisica e la riduzione del la mortalità precoce per tutte le cause, con un’ulteriore associazione positiva con l’intensità dell’attività praticata. Si tratta di studi di coorte, che  permettono di evidenziare soltanto una associazione tra i fattori indicati. Ulteriori lavori, magari con controllo randomizzato, potranno dare maggiori e più precise indicazioni, ma l’ampiezza del campione e il periodo di tempo esaminato sono notevoli e le indicazioni raccolte di sicuro valore.

Questi risultati non implicano che domani mattina il soggetto deallenato dovrà andare a correre una maratona: il lavoro deve essere sempre graduale, per portare ad adattamenti progressivi e a un costante miglioramento della forma fisica, riducendo al minimo traumi o problemi muscolari e scheletrici, per poter essere a lungo sostenibile nel tempo.

Si tratta in pratica dell’ennesimo invito a muoversi, almeno un’ora al giorno, senza aver paura di lavorare troppo o troppo intensamente, per cogliere appieno i benefici preventivi dell’attività fisica. L’uomo è un animale che si è evoluto per una vita attiva, la sedentarietà è un problema serio: questi studi ne sono ulteriore conferma.