La vitamina D è molto più di quello che un tempo si pensava fosse, un composto essenziale per la salute delle ossa. Si tratta invece di un vero e proprio ormone in grado di regolare complessi processi cellulari ed essenziale per il corretto funzionamento del sistema immunitario, di quello endocrino e di quello cardiovascolare. La cosa positiva è che ce la fabbrichiamo da soli, quella negativa è che comunque una buona fetta della popolazione ne è carente, perlomeno in certi periodi dell’anno.

Il rachitismo è una brutta malattia, un tempo molto diffusa tra i bambini, caratterizzata da alterazioni a carico dello scheletro: malformazioni del cranio, sterno sporgente, nodosità a livello di polsi e caviglie, ossa delle braccia e delle gambe fortemente incurvate e fragili. I soggetti rachitici sono pallidi, sempre stanchi, con forti problemi respiratori. Una patologia che negli anni della rivoluzione industriale era particolarmente diffusa tra i bambini che vivevano nelle periferie industriali, in particolar modo dei paesi del nord, una vera e propria piaga sociale sulle cui cause e possibili cure ci si interrogava sin dai tempi dell’Impero Romano.

Bisogna però attendere fino al 1919 per avere una prima possibile soluzione: in quell’anno Kurt Huldschinsky, medico tedesco, osservò che i piccoli che soffrivano di rachitismo mostravano notevoli miglioramenti quando venivano esposti a luce ultravioletta. Hess e Gutman osservarono risultati simili utilizzando l’elioterapia, l’esposizione prolungata alla luce solare. Risultati che facevano pensare all’esistenza di un qualche fattore presente nell’organismo e convertito in forma attiva dalla radiazione ultravioletta. Furono McCollum, Davis e Mellanby, nel 1922 a identificare questo  fattore nell’olio di pesce, subito battezzata vitamina D semplicemente perché fu la quarta sostanza di questo tipo ad essere scoperta dopo A, B e C.

Nel giro di pochi anni, a suon di cucchiaiate del terribile olio di fegato di merluzzo, il rachitismo divenne un brutto ricordo nei paesi occidentali, pur se la sua diffusione in altre parti del mondo rimane sempre rilevante. Tutto merito di una semplice molecola che, come si è scoperto poi, non è soltanto importante per la salute delle ossa ma è un composto essenziale in un gran numero di processi da cui dipende il nostro benessere. [1, 2, 3]

Vitamina D, salute delle ossa, sistema immunitario

La carenza di vitamina D provoca rachitismo, una malattia che provocauna ridotta mineralizzazione delle ossa, con deformarzioni importanti, particolarmente evidenti nelle ossa dell’arto inferiore

Cosa è la vitamina D

Quando parliamo di vitamina D in realtà stiamo facendo riferimento ad un gruppo di molecole liposulubili — in grado cioè di sciogliersi nei grassi — di cui le due più importanti sono la vitamina D2, ergocalciferolo, e la vitamina D3, colecalciferolo. La vitamina D2 si forma quando l’ergosterolo, sostanza prodotta da alcuni funghi, è irradiata con luce ultravioletta; la vitamina D3 è prodotta da mammiferi e pesci. Le due molecole sono molto simili, differiscono per un singolo gruppo (metile) con presenza di 27 atomi di carboni per la D3, 28 per la D2.

Sia l’ergocalciferolo che il colecalciferolo sono forme inattive che possono essere convertite alla forma attiva, sono quindi dei precursori che possono essere ottenuti con la dieta o tramite integrazione. La loro efficacia nell’aumentare i livelli della forma attiva non pare però essere la medesima: nell’uomo la D3 risulta più efficiente e oltretutto polveri e preparati di questo composto risultano molto più stabili di quelli della D2, ottenuti per irradiazione dell’ergosterolo prodotto da alcuni funghi.

Nonostante venga definita una vitamina, in realtà la D diventa un nutriente essenziale, da assumere con la dieta, soltanto in caso di ridotta esposizione ai raggi solari e svolge una azione diversa da quella della maggior parte delle altre vitamine, comportandosi come un vero e proprio ormone in grado di legare uno specifico recettore presente in diversi tessuti. [4, 5, 6, 7]

Il metabolismo della vitamina D

Nell’uomo il colecalciferolo è prodotto nello strato superiore dell’epidermide per esposizione alla radiazione ultravioletta  di 7-deidrocolesterolo, un intermedio della sintesi del colesterolo che è sintetizzato nelle ghiandole sebacee, secreto in superficie e quindi riassorbito nell’epidermide. Il colecalciferolo così formato, assieme a quello assorbito dagli alimenti — sia in forma di ergocalciferolo che di colecalciferolo — entra nel torrente circolatorio ed è trasportato al fegato legato a una specifica proteina di trasporto (Proteina legante la vitamina D, DBP, indicata anche come Gc-globulina o transcalciferina).

Nel fegato la vitamina D2 e la D3, per azione di enzimi che appartengono alla famiglia del citocromo P450 (CYP2R1 vitamina D 25-idrossilasi, CYP27A1 sterolo 27-idrossilasi) sono convertite a 25-idrossivitamina D (25-OHD o calcidiolo o calcifediolo), la forma di vitamina D maggiormente presente in circolo e quella comunemente dosata per valutare eventuali situazioni di carenza.

La 25-idrossivitamina D, sempre legata alla DBP, raggiunge i reni dove per azione dell’enzima 1-α idrossilasi (CYP27B1) viene convertita in 1α,25-diidrossivitamina — 1,25-(OH)2D — o calcitriolo, la forma attiva della vitamina. La produzione di calcitriolo è regolata da diversi fattori: concentrazione di calcio e fosforo nel plasma, livelli ematici di paratormone (PTH) e di FGF23 (fattore di crescita dei fibroblasti 23) e la sua stessa concentrazione plasmatica.  Una piccola quantità di calcitriolo è prodotta in diversi tessuti, in particolar modo pelle, paratiroidi, seno, colon prostata, alcuni tipi cellulari del sistema immunitario e del tessuto osseo.

A differenza delle altre vitamine liposolubili, la vitamina D non viene accumulata nel fegato, che ne contiene appena 25nmol/kg. Una quantità importante è invece accumulata nel tessuto adiposo, ma non si tratta di una riserva reale visto che viene rilasciata quando il grasso viene catabolizzato e non in risposta ad una carenza del composto. L’unica reale forma di accumulo è il calcidiolo (25-OHD) presente nel plasma, che presenta variazioni stagionali notevoli: il livello al termine dell’inverno può infatti scendere fino alla metà di quello che si registra a fine estate.

Derivati del metabolismo della vitamina D sono escreti soprattutto attraverso la bile e in  piccola parte, appena il 5%, attraverso le urine. Un ruolo importante in questo processo lo svolge l’enzima calcidiolo 24-idrossilasi, che con la sua attività partecipa alla regolazione della quantità di vitamina D disponibile nel plasma e nei tessuti. Colecalcifero e ergocalciferolo derivanti dagli alimenti sono maggiormente soggetti a questi processi catabolici, particolarmente quando si hanno livelli di assunzione intermittenti, con picchi elevati. [8, 9, 10, 11, 12]

Carenza di vitamina D, funzione e ruolo per la salute del sistema immunitario

Nelle area del mondo al di sopra del 42° parallelo, in grigio nell’immagine,  durante l’inverno la radiazione ultravioletta è così bassa da non permettere la sintesi di vitamina D a livello cutaneo. E in effetti al termine della stagione fredda una buona parte della popolazione di queste aree presenta livelli ematici della vitamina che sono la metà di quelli estivi, spesso eccessivamente ridotti.

A cosa serve la vitamina D

La vitamina D, nonostante il nome, è in realtà un ormone. La maggior parte delle sue azioni sono mediate dal legame al recettore della vitamina D (vitamin D receptor VDR), inizialmente individuato nelle cellule della mucosa intestinale ma presente in tutti i tessuti sui quali la vitamina esercita una qualche azione: reni, ossa, paratiroidi, pelle, timo, ipofisi, ghiandole mammarie, utero, placenta, e vari elementi cellulari del sistema immunitario.

La vitamina D attiva presente nel plasma, legata alla DBP, entra nel citoplasma delle cellule bersaglio e qui lega VDR che a sua volta recluta un’altra molecola, il recettore X dei retinoidi (RXR), formando un complesso che è in grado di riconoscere e legare delle brevi sequenze di DNA note come VDREs (Vitamin D Response Elements), dando il via a una serie di interazioni che portano alla trascrizione di specifici geni.

Attualmente sono stati identificati migliaia di VDREs che si ritiene possano regolare in maniera diretta o indiretta da 100 a 1250 geni diversi.

Alcuni degli effetti della vitamina D sono invece dovuti a meccanismi che non comportano azione a livello dei geni. Si tratta di risposte molto rapide, tra le quali è ben descritto il rapido trasporto di ioni calcio nelle cellule dell’intestino (transcaltachia) e alcuni processi coinvolti nella crescita e nella differenziazione cellulare. [13, 14, 15, 16]

Vitamina D, calcio, fosforo e salute delle ossa

La funzione di gran lunga più nota della vitamina D  è legata al metabolismo del calcio e del fosforo, processi in cui l’azione di questo composto avviene di concerto a quella dell’ormone paratiroideo (PTH) e della calcitonina.

Il livello di calcio nel siero è mantenuto in un ristretto intervallo di concentrazione 9-11 mg/dl. Variazioni rilevanti possono avere conseguenze drammatiche quindi esiste un raffinato meccanismo di controllo che permette di mantenere questo valore entro i limiti.

Quandola concentrazione di calcio nel siero scende le ghiandole paratiroidi rilasciano PTH che a livello del rene e della mucosa intestinale stimola la conversione della vitamina D3 nella forma attiva; questa, a livello dei tessuti bersaglio, lega geni la cui azione complessiva permette di normalizzare la concentrazione di calcio grazie a:

  1. un aumento dell’assorbimento intestinale del minerale, accompagnato da aumentata produzione di calbindina, proteina essenziale al trasporto di calcio attraverso la mucosa intestinale ;
  2. un aumento del riassorbimento del calcio filtrato a livello renale;
  3. mobilizzazione del calcio presente nelle ossa attraverso aumento della differenziazione di cellule precursori in osteoclasti, le cellule responsabili del processo di riassorbimento dell’osso, quando il calcio proveniente da intestino e reni non sia sufficiente a ristabilire l’omeostasi del minerale.

L’omeostasi del calcio e del fosforo sono intrecciate e la vitamina D stimola anche l’assorbimento intestinale di fosforo e, ovviamente, la mobilizzazione del fosforo depositato a livello della componente minerale delle ossa.

Quando la concentrazione ematica del calcio aumenta in maniera eccessiva la tiroide secerne calcitonina, ormone che a sua volta inibisce l’attività delle paratiroidi, riduce l’attività di riassorbimento dell’osso e l’assorbimento di calcio nell’intestino, aumentandone l’escrezione con le urine.

La vitamina D è sostanza chiave in questo processo. In caso di carenza di vitamina D si registrano problemi più o meno severi a carico dello scheletro, anche in presenza di un adeguato apporto di calcio, dal rachitismo, caratteristico dei bambini, all’osteomalacia tipica degli adulti.

L’integrazione con vitamina D è essenziale nel trattamento di rachitismo e osteomalacia dovute a carenza del composto — condizioni che comportano problemi nel processo di mineralizzazione delle ossa — con dosi mirate in funzione del singolo soggetto: razza, sesso, età, stato nutrizionale generale etc.

L’osteoporosi è una patologia caratteristica dell’età avanzata  in cui i processi di rimodellazione delle ossa presentano netta prevalenza dei fenomeni di riassorbimento, con riduzione della massa minerale e della densità ossea. Il problema è particolarmente diffuso tra le donne nel periodo peri- e postmenoapusale e può portare a deformazioni e fratture spontanee a carico delle vertebre e dell’anca.

Un ruolo importante nella genesi dell’osteoporosi lo gioca la riduzione della produzione di ormoni sessuali, soprattutto estrogeni, caratteristica dell’età avanzata. L’evoluzione dell’osteoporosi dipende in misura rilevante dallo stile di vita del soggetto nell’intero arco dell’esistenza, partendo dall’assunzione di calcio e dai livelli di attività fisica durante infanzia, adolescenza ed età adulta, fasi durante le quali viene raggiunto il picco di massa ossea, uno dei fattori più importanti nel determinare la severità dei processi osteoporotici nell’anziano.

In età avanzata si ha anche una riduzione dell’attività degli enzimi necessari a sintesi e attivazione della vitamina D, tuttavia l’integrazione con vitamina D e calcio non ha fatto registrare risultati risolutivi, evidenziando che la patologia non è causata direttamente da disponibilità o carenza delle due sostanze.

I dati mostrano che nel trattamento dell’osteoporosi l’integrazione con vitamina D è inutile se non c’è un adeguato apporto di calcio, mentre l’integrazione con calcio è poco efficace quando sia ridotta la disponibilità di vitamina D; è evidente che entrambe le sostanze sono importanti per garantire una buona salute delle ossa, con un apporto giornaliero consigliato di circa 12oo mg di calcio e 10-15 μg di vitamina D. [17, 18]

Vitamina D e sistema immunitario

C’è sempre chi favoleggia di potenziare l’attività del sistema immunitario, anelando all’invulnerabilità da ogni malattia, senza rendersi conto che quella del sistema immunitario è una funzione estremamente delicata che deve essere finemente regolata: un’azione troppo timida ci espone a malattie infettive e tumori, ma una risposta esagerata, fuori controllo, è alla radice di terribili patologie autoimmuni, malattie nelle quali il sistema immunitario monta una risposta nei confronti dei propri tessuti, provocando lesioni e perdita di funzione degli organi bersagliati.

La vitamina D è una delle sostanze in grado di modulare la risposta immune. Un gran numero di cellule del sistema immunitario presenta infatti recettori della vitamina D — linfociti T regolatori, cellule dendritiche, macrofagi — e alcune di queste, una volta attivate, producono anche gli enzimi necessari all’attivazione della vitamina D.

Tra gli effetti della vitamina D sul sistema immunitario:

  1. l’inibizione della produzione di anticorpi da parte dei linfociti B;
  2. l’inibizione della produzione di diverse citochine proinfiammatorie, IL-2, IL-12, interferone-γ;
  3. l’inibizione dell’attività di presentazione dell’antigene da parte dei macrofagi;
  4. la stimolazione dell’attività battericida e fagocitica dei macrofagi.

Il risultato netto è una stimolazione dei processi relativi alla risposta innata e una inibizione dei processi che possono portare allo sviluppo di fenomeni di autoimmunità.

Carenza di vitamina D è spesso associata a patologie autoimmuni come Diabete di tipo 1, sclerosi multipla, artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, e spesso megadosi di vitamina D vengono suggerite come possibile trattamento per queste malattie, in genere da guru, santoni e altra variegata fauna che striscia nell’intricato sottobosco della pseudoscienza. Purtroppo gli studi clinici che hanno valutato l’effetto di una integrazione di vitamina D sul decorso di queste patologie hanno dato risultati deludenti, modestissimi o del tutto assenti.

L’integrazione con vitamina D, in base ai dati oggi disponibili, non ha alcun effetto nella prevenzione e nel trattamento di patologie autoimmuni, anche se i risultati degli studi epidemiologici suggeriscono che il mantenimento di livelli nella norma possa contribuire a ridurne il rischio.

Dati provenienti da studi epidemiologici hanno evidenziato che livelli ridotti di vitamina D sono associati a una maggior incidenza di infezioni dell’apparato respiratorio causate da virus, soprattutto in soggetti sofferenti di asma o malattia polmonare ostruttiva cronica.

Ancora una volta risultano tuttavia deludenti gli studi clinici sul tema: diversi lavori di questo tipo non hanno infatti mostrato alcun effetto protettivo in soggetti sani con livelli nella norma di vitamina D. Effetti apprezzabili — con modalità e dosi molto diverse di integrazione — si sono osservati soltanto in popolazioni particolari:

  • soggetti con carenza grave della vitamina, livelli ematici inferiori a 10 ng/ml;
  • donne incinte e nei loro figli, con effetto protettivo della integrazione in gravidanza che si estende fino ai 18 mesi per il neonato;
  • soggetti anziani, tipicamente carenti di vitamina D, con età maggiore di 70 anni, nei quali non si è ridotta l’incidenza delle patologie ma si è potuto ridurre il ricorso all’utilizzo di antibiotici.

Quindi, a meno che non siate gravemente carenti di vitamina D, anziani o donne incinte, non sarà  particolarmente utile imbottirsi di vitamina D per prevenire malattie infettive di origine virale, checché ne dicono guru o esperti autoproclamati, di solito venditori di preziosi integratori. [19, 20, 21, 22, 23, 24]

Vitamina D, sistema immunitario, influenza, infezioni virali

La vitamina D è sicuramente importante per un buon funzionamento del sistema immunitario ma non pare essere particolarmente efficace nella prevenzione e nel trattamento di influenza e infezioni virali, a meno che non ne siate decisamente carenti.

Vitamina D e patologie cardiovascolari

Diversi studi osservazionali hanno evidenziato che ridotti livelli di vitamina D sono associati ad aumento del rischio per patologie cardiovascolari, tuttavia lavori di intervento non hanno mostrato apprezzabile riduzione del rischio in seguito a periodi più o meno lunghi di integrazione.

Carenza di vitamina D può aumentare il rischio di ipertensione, uno dei principali fattori di rischio per patologie cardiovascolari, tramite un aumento dell’attività del sistema renina-angiotensina. L’integrazione con vitamina D in studi clinici ha dato risultati molto modesti, apprezzabili soltanto in soggetti con particolari forme di ipertensione o in anziani carenti della vitamina, per i quali il ricorso a questo tipo di integrazione potrebbe affiancare le terapie comunemente utilizzate.

La vitamina D potrebbe contribuire a ridurre i processi che portano all’aterosclerosi grazie alla sua attività antinfiammatoria a carico dei macrofagi, elementi del sistema immunitario che a causa di stress ossidativo si trasformano in foam cells, cellule la cui attività favorisce la formazione della placca aterosclerotica. La vitamina D previene questa trasformazione modulando l’attività dei macrofagi: mancano tuttavia studi che quantifichino l’effettivo contributo della vitamina nella prevenzione di questi processi. [25, 26, 27]

Vitamina D, sensibilità all’insulina e diabete di tipo 2

La carenza di vitamina D è associata a ridotta sensibilità all’insulina e a un rischio aumentato per diabete di tipo 2. L’effetto appare più pronunciato in soggetti sovrappeso o obesi, nei quali una grande quantità di vitamina D è accumulata a livello del tessuto adiposo, con netta riduzione della quantità circolante in grado di agire sui tessuti bersaglio.

La vitamina D migliora la risposta all’insulina del tessuto muscolare, favorisce l’aumento di massa magra e stimola l’attività delle cellule del pancreas che producono insulina. Sulla base degli studi disponibili il mantenimento di livelli adeguati di vitamina D può contribuire a ridurre il rischio per sindrome metabolica e diabete, con un leggero miglioramento della sensibilità all’insulina in soggetti con intolleranza al glucosio o diabete di tipo 2, soprattutto in condizioni di carenza della vitamina. [28, 29, 30]

Vitamina D, differenziazione e proliferazione cellulare, cancro

La vitamina D stimola differenziazione e sviluppo di vari tipi cellulari, un effetto ben noto e descritto per gli osteoclasti della matrice ossea ma presente anche in cellule della pelle e dei follicoli piliferi. Un effetto opposto la vitamina D lo esercita nei confronti degli adipociti, verso i quali agisce sopprimendone lo sviluppo.

I recettori della vitamina D sono presenti anche in un gran numero di cellule tumorali, nei confronti delle quali la vitamina C presenta azioni diverse a seconda della concentrazione: ridotti livelli di vitamina D stimolano la proliferazione di questi tipi cellulari, livelli elevati ne inibiscono la crescita e la divisione mentre ne stimolano l’apoptosi — cioè l’autodistruzione — un effetto osservato per tumori del seno, della prostata, del pancreas e delle ovaie.

Studi osservazionali mostrano in effetti associazione tra ridotti livelli di vitamina D e alcune forme di cancro, in particolar modo del colon, del seno e della prostata. Studi di intervento hanno però dato risultati modesti o nulli, con debolissimi effetti protettivi evidenti soprattutto nelle donne ma non negli uomini. Un dato che fa supporre che la diversa suscettibilità possa essere dovuta all’interazione di numerosi fattori, molti dei quali di origine genetica e quindi difficili da isolare. Prima di utilizzare megadosi di vitamina D per “curare” il cancro è necessario quindi sciogliere questi nodi intricatissimi, per capire il reale ruolo di questo composto nello sviluppo e nella proliferazione di cellule cancerose. [31, 32, 33, 34, 35]

Vitamina D, sistema nervoso e umore

I neuroni sono tra le cellule dotate di recettori della vitamina D e degli enzimi necessari all’attivazione del calcidiolo. In vitro la vitamina D ha un effetto protettivo nei confronti di fenomeni di eccitotossicità mediati dal calcio, effetto rilevato anche in vivo, almeno nel modello animale.

Studi osservazionali hanno evidenziato che negli anziani declino cognitivo e malattie degenerative del sistema nervoso come Alzheimer e Parkinson risultano associate a carenza di vitamina D. L’analisi dei pochi studi di intervento disponibili mostra risultati modesti o nulli, che non permettono di avanzare un ruolo preventivo dell’integrazione nei confronti di queste patologie.

Livelli ridotti di vitamina D sono correlati con maggior rischio di disturbi dell’umore, particolarmente depressione, in soggetti con elevato rischio cardiovascolare, fibromialgia e in donne durante il periodo invernale. Alcuni studi d’intervento hanno dato risultati apprezzabili, con riduzione dei sintomi della depressione in soggetti che mostravano carenza, ma non in quelli con valori nella norma. [36, 37, 38, 39, 40]

Vitamina D, gravidanza e salute del neonato

Studi di popolazione mostrano che carenza di vitamina D è associata a diabete gestazionale, preeclampsia e infezioni vaginali durante la gravidanza. Livelli ridotti di vitamina sono associati anche a parto prematuro e peso ridotto del neonato.

Studi osservazionali non hanno mostrato relazione diretta tra livelli di vitamina D della madre e densità ossea della prole. Sembra esistere una debole correlazione tra carenza materna e patologie respiratorie e allergiche nel neonato, correlazione che non si registra invece per patologie autoimmuni, in particolare diabete di tipo 1.

Gli studi di intervento sul tema, con vari protocolli di integrazione, sono tuttavia pochi e i risultati sono controversi, in alcuni casi la somministrazione di vitamina D ha addirittura causato maggiore incidenza di allergia nei primi due anni di vita della prole, per cui appare necessario raccogliere ulteriori dati prima di poter consigliare modalità di integrazione con vitamina D durante la gravidanza. [41, 42, 43, 44, 45]

Vitamina D e muscoli

Non è ancora noto se siano presenti recettori della vitamina D (VDR) nel muscolo, tuttavia lo studio di topi in cui il gene per il recettore della vitamina D è stato eliminato hanno mostrato ridotta capacità motoria e minor crescita muscolare, evidenziando un ruolo della vitamina nei processi che regolano lo sviluppo delle fibre muscolari.

Carenza di vitamina D è associata a problemi nei movimenti più semplici, debolezza e dolori muscolari, con accumulo di grasso nelle fibre muscolari. In condizioni di carenza l’utilizzo di integratori migliora la prestazione atletica, la potenza muscolare e riduce l’incidenza di infortuni scheletrici e muscolari. [46, 47, 48, 49, 50]

Vitamina D, proprietà, funzioni, alimenti che la contengono, carenza

Gli alimenti che contengono quantità apprezzabili di vitamina D sono pochi: pesci grassi come salmone, sgombro e sardine, uova, latte e latticini, specie quelli più ricchi di grassi. Nei vegetali è quasi completamente assente, fatta eccezione per alcuni tipi di funghi che ne producono piccole quantità quando sono irradiati con luce ultravioletta.

Vitamina D: fabbisogno giornaliero, alimenti dove si trova, integratori

La quantità di vitamina D da assumere ogni giorno con l’alimentazione è molto piccola, 10-15 μg (milionesimi di grammo) che vengono spesso indicati in UI (unità internazionali), delle unità di misura riferita alla singola sostanza e alla quantità di questa in grado di esercitare una determinata attività biologica: nel caso della vitamina D una unità internazionale corrisponde a 0,025 μg, per cui il fabbisogno giornaliero è di circa 400-600 UI, da aumentare fino a 800 UI in soggetti oltre i 70 anni.

Il valore è molto piccolo per un semplice motivo: a differenza delle altre vitamine, la D, che in realtà è un ormone, come tutti gli altri ormoni ce la produciamo da soli, grazie ad una reazione di fotosintesi che avviene nella pelle per esposizione a radiazione ultravioletta con lunghezza d’onda di 290-315 nanometri.

Si calcola che durante un’esposizione che causa un leggero arrossamento della pelle (minima dose eritemale) venga prodotta una quantità di vitamina pari a quella ingerita con una dose di 10000-25000 UI (250-625 μg), tuttavia sono molti i fattori che possono influenzare la quantità di vitamina D effettivamente sintetizzata durante l’esposizione alla luce solare:

  • pigmentazione cutanea: soggetti con pelle scura producono una quantità minore di vitamina D rispetto a soggetti con pelle chiara;
  • età: lo spessore della cute e il suo contenuto i 7-deidrocolesterolo si riducono con l’età, con notevole calo della produzione di vitamina D3, tanto che si può arrivare a carenza in presenza di un apporto alimentare ridotto;
  • tempo di esposizione alla luce solare: in continua diminuzione a causa di uno stile di vita che comporta significativa riduzione del tempo passato all’aperto, specie nei mesi estivi. Ridotto, specie per le donne in alcuni paesi del mondo dove per motivi religiosi sono richiesti abbigliamenti che coprono la maggior parte dell’epidermide. Anche un utilizzo costante di creme solari con forte azione protettiva nei confronti della radiazione UV può contribuire ad una ridotta sintesi di vitamina D;
  • latitudine: durante i mesi invernali, in genere da novembre a marzo,  a latitudini superiori a 40° (praticamentea partire dalla punta meridionale della Puglia, l’area del Salento) la radiazione ultravioletta presente nella luce solare non è sufficiente per la sintesi cutanea di vitamina D. In queste aree del mondo, e ovviamente in quelle che si trovano più a nord (a sud per l’emisfero australe) il livello di vitamina D cala decisamente durante il periodo invernale, raggiungendo i valori più bassi al termine della stagione fredda.

Appare evidente che in buona parte del globo, e perlomeno nell’Italia centro-settentrionale, durante i mesi invernali è ben mantenere un buon consumo di alimenti ricchi di vitamina D.

Il problema è che questi alimenti sono davvero pochi: pesci grassi come salmone, sgombro e sardine ne contengono da 4 a11 μg per 100 g di prodotto. Piccole quantità se ne trovane nelle uova, nel latte, in formaggi grassi e nel burro, in ostriche e gamberi, nel fegato e, in forma di ergocalciferolo, in funghi trattati con luce ultravioletta. Per i più coraggiosi c’è sempre l’opzione dell’olio di fegato di merluzzo, ma si tratta di esperienze forti, non adatte a tutti. Io, per esempio, ricordo ancora i due cucchiai che ho preso molti, molti anni fa: con terrore e disgusto.

Come fare a capire se si è carenti di vitamina D?

Il monitoraggio dei livelli ematici di 25-idrossivitamina D richiede un semplice test di laboratorio, che si consiglia di eseguire periodicamente a soggetti che soffrono dialterazioni del metabolismo del calcio o sono in età avanzata e quindi a rischio di osteoporosi.

In base all’intervallo di valori riscontrati abbiamo:

  • Carenza grave: concentrazione inferiore a 10ng/ml
  • Insufficienza: concentrazione compresa tra 10 e 30 ng/ml
  • Sufficienza (valori nella norma): concentrazione compresa tra 30 e 100 ng/ml
  • Tossicità: concentrazione superiore a 100 ng/ml

Il ricorso all’integrazione può essere opportuno quando siano presenti condizioni che predispongono alla carenza:

  • pigmentazione scura;
  • età avanzata;
  • ridotta esposizione alla luce solare, per abitudini di vita, latitudine di residenza, utilizzo di abiti coprenti o creme solari;
  • caratteristiche genetiche, che possono comportare variazioni importanti nella capacità di produrre colesterolo, precursore della vitamina D, e diversi enzimi necessari a sintesi e trasporto del composto;
  • patologie renali che comportano ridotta sintesi della forma attiva nel rene e aumentate escrezione di D3 con le urine;
  • patologie che comportano un ridotto assorbimento dei grassi a livello intestinale, fibrosi cistica, patologie infiammatorie dell’intestino specie quando abbiano reso necessaria resezione intestinale;
  • sovrappeso e obesità. In questo caso notevoli quantità di vitamina D possono essere sequestrate a livello del tessuto adiposo, con riduzione della biodisponibilità del composto che può arrivare a ridurre in maniera severa anche l’efficacia dell’integrazione;
  • deficienza di magnesio. Il magnesio è essenziale per la funzione di diversi enzimi co funzione critica nel metabolismo della vitamina;
  • nei neonati allattati esclusivamente al seno l’apporto giornaliero di vitamina D giornaliero può essere insufficiente — in genere con il latte materno ne arrivano circa 80 UI, decisamente inferiore alle 400 UI consigliate in questa fase — quindi alcune società scientifiche ne consigliano l’integrazione, particolarmente quando il neonato è di pelle scura ed è poco esposto alla luce solare;
  • utilizzo di alcuni farmaci che possono ridurre l’assorbimento a livello intestinale o interferire con il metabolismo della vitamina: orlistat, fenobarbital e altri anticonvulsivanti, inibitori di pompa protonica, alcuni antifungini, glucocorticoidi e alcuni farmaci chemoterapici;

L’utilizzo di integratori deve essere valutato con attenzione, soltanto dopo aver accertato una condizione di carenza o insufficienza, con dosi, modalità e prodotti da utilizzare che devono essere indicati dal vostro medico curante o da uno specialista preparato.

Un eccesso di vitamina D può essere tossico ed è raramente dovuto a un eccessivo apporto con la dieta: molto più di frequente la responsabilità ricade su di un uso eccessivo di integratori. Livelli cronicamente elevati di vitamina D possono causare apatia, confusione, depressione, vomito, dolori addominali, stitichezza, pancreatite, ipertensione e alterazioni del ritmo cardiaco, accompagnati da aumento della concentrazione di calcio nel sangue che, a sua volta, può provocare gravi problemi a livello dei reni e favorire la calcificazione di cuore, vasi sanguigni e apparato rerspiratorio, con conseguenza drammatiche

A causa dei rischi severi legati all’eccesso, per la vitamina D è indicato un apporto massimo tollerabile giornaliero che nei neonati è di 1000 UI, sale a 2000-3000 UI durante l’infanzia, per attestarsi a 4000 UI per gli adulti. Alcune patologie — iperparatiroidismo, sarcoidosi, tubercolosi e linfoma — possono favorire la comparsa di ipercalcemia anche con dosi non elevatissime di vitamina D e richiedono quindi massima attenzione nella valutazione dell’apporto giornaliero.

La vitamina D è un ormone potente, coinvolto in un gran numero di processi. Conoscendo i problemi legati alla carenza viene spontaneo pensare che tanta più se ne assume tanto maggiore risulterà il benessere: non è così. Per ogni nutriente c’è un range ottimale oltre il quale possono finire i benefici i benefici e iniziare i problemi e la vitamina D è tra questi. L’obiettivo deve essere quello di evitare carenza, purtroppo frequente dalle nostre parti, senza tuttavia esagerare con l’integrazione, che può diventare problematica, lavorando quanto più possibile su alimentazione e stile di vita. [51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60]