Parlare di nutrizione e dell’impatto di questa sulla salute non è facile. La confusione è notevole e spesso è alimentata ad arte, per fini più o meno commerciali. Non è sufficiente che uno studio o un “esperto” affermino qualcosa, perché questo qualcosa sia vero. È importante sviluppare un acuto senso critico, per valutare tutta l’informazione che ci bombarda ad ogni istante. Compresa quella che leggete su queste pagine.

Quando si parla di nutrizione, è sempre più frequente imbattersi in interlocutori che brandiscono a mo’ di clava studi scientifici, opinioni di esperti, libri, interviste, video; un ampio campionario di tutto quel variegato e abbondantissimo materiale dedicato all’alimentazione e alla salute che tanto spazio occupa sui media. I soggetti in questione si fanno forti dei dati raccolti e delle opinioni orecchiate, e in genere li utilizzano per supportare e rinforzare la loro opinione sul tema, cercando di demolire al tempo stesso la parte avversa, possibilmente con sarcasmo e disprezzo, ché oggi va di moda blastare. Un atteggiamento sbagliato e controproducente, che uccide ogni possibilità di dialogo sul nascere e che, soprattutto, utilizza in modo del tutto improprio i dati che emergono dall’incessante attività di ricerca della comunità scientifica.

Il problema con gli esperti

Quando si parla dell’opinione di esperti, sia espressa in un’intervista, in  un video, in un libro o in un blog (proprio come quello che state leggendo), siamo alla base della piramide delle evidenze; per quanto blasonato l’esperto, per quanto importanti i titoli, le cattedre e i riconoscimenti (Nobel compreso, e volendo anche l’Oscar), per quanto venduti i libri, siamo comunque di fronte al parere di un singolo, potenzialmente influenzato da fattori personali, convincimenti e opinioni, fino ad arrivare a posizioni filosofiche e politiche. Un parere che va sempre accolto con molta cautela, verificando quali dati siano portati a sostegno di tale posizione, dati che devono essere tanto più rigorosi e convincenti quanto più la tesi sia, come dire, in contrasto con quanto comunemente accettato dalla comunità scientifica.

Il web pullula di fenomeni pronti a rivelarvi cose che nessuno vi dirà (tranne loro, che sono felicissimi di ripetervele attraverso ogni canale disponibile), verità controverse, scottanti, scomode e invise alla multinazionale o al potentato di turno. In genere questi soggetti hanno identificato alimenti killer da evitare come la peste, e cibi miracolosi in grado di guarirvi da ogni male. Il problema è sempre cosa mangiate, mai quanto, e se siate attivi o meno importa poco, anzi, per qualche genio può addirittura essere controproducente.

I signori in questione non sempre sono degli imbonitori da baraccone, navigati pirati delle fruttuose acque del marketing, tutto sommato facili da smascherare, con le loro promesse facili di risultati mirabolanti e senza sforzo. Spesso ci troviamo invece di fronte a ottimi professionisti e scienziati, alcuni anche con delle importanti carriere accademiche ed esperienza nel campo della ricerca. Soltanto che si sono fatti prendere la mano e magari hanno deciso che il loro lavoro meritava un pubblico più ampio e un successo maggiore di quello che si può raggiungere nel rarefatto mondo della ricerca. E allora hanno scritto libri,  hanno aperto siti e propongono diete, spremendo ogni goccia possibile dai loro lavori scientifici. Soggetti di questo tipo possono essere davvero pericolosi, nascosti dietro un camice che dona loro autorevolezza, barricati dietro titoli  e cattedre che incutono sacro timore, abbarbicati a quel principio di autorità che non dovrebbe avere spazio in una sana discussione scientifica (l’ipse dixit era caro al Cardinal Bellarmino e non certo al buon Galileo, con cui peraltro i fenomeni tendono ad identificarsi).  Tanto più sono estreme le loro posizioni tanto maggiore dovrebbe essere la nostra attenzione nel valutarle, soppesando i dati a supporto,

Un esempio interessante di esperto che utilizza la propria posizione e il proprio prestigio per costruirsi — tutto in famiglia — un impero commerciale è T.Colin Campbell, professore emerito di Nutrizione e Biochimica alla Cornell University e autore del The China Study, ormai vera e propria bibbia di certi gruppi che fanno dell’approccio estremista alla nutrizione il loro credo. Il buon professore, utilizzando dati raccolti per una ricerca sulla popolazione di alcune province cinesi, ha elaborato il materiale e lo ha pubblicato in forma di libro nel 2005; la conclusione finale del lavoro è che il consumo anche marginale di proteine di origine animale, in particolar modo quelle del latte, è fattore di rischio estremamente grave per patologie cardiovascolari e tumorali. Sulla base di queste osservazioni Campbell sostiene che è necessario eliminare completamente  proteine e grassi di origine animale dalla dieta.

Tutto il lavoro di Campbell, di natura strettamente epidemiologica, si basa sulla raccolta di un grande numero di dati e sulla individuazione di correlazioni che sono soltanto apparenti e che non reggono ad una analisi scrupolosa del lavoro. Il libro è il regno dell’analisi selettiva, una enorme mole di dati manipolati al fine di dimostrare una tesi preconfezionata, andando contro quelle che sono le conclusione e le evidenze raccolte dall’intera comunità scientifica. Con un gran numero di variabili a disposizione e una buona — e maliziosa — conoscenza della statistica si può arrivare a dimostrare qualsiasi tesi di partenza, e questo è quanto fa Campbell. Non stupisce che il lavoro sulla popolazione cinese non sia MAI stato pubblicato estensivamente in giornali scientifici, dove sarebbe stato sottoposto ad un lavoro di peer-review — ossia un rigoroso riesame da parte di altri specialisti del settore — che ne avrebbe evidenziato tutti i problemi metodologici e le numerose e ingiustificate inferenze. [1, 2]

Il rischio, in una situazione come questa di Campbell, che mescola dati e conclusioni che sono patrimonio condiviso della comunità scientifica a conclusioni estreme che invece sono frutto di manipolazione dei numeri, è quello che indicazioni senza alcun reale fondamento scientifico passino comunque per certezze acquisite, andando ad impressionare chi ha poca dimestichezza con la ricerca; di fronte a grafici, a colonne di dati e percentuali, di fronte al professore in camice, il lettore senza una specifica preparazione può davvero prendere per buone le misure draconiane che Campbell consiglia. Nessuno mette in dubbio che una alimentazione sana prevede un elevato consumo di alimenti di origine vegetale e un consumo misurato di quelli di origine animale, nessuno nega che mangiare quantità eccessive di carni lavorate possa rappresentare un fattore di rischio per certe patologie. Tuttavia i dati disponibili indicano che le conclusioni cui arriva Campbell sono immotivate, specie per quanto riguarda l’esclusione, senza alcun solido razionale scientifico, di interi gruppi di alimenti che trovano invece posto nelle dieta di ogni giorno, se consumati con equilibrio, nel contesto di una alimentazione variata.

Studi scientifici e pareri di esperti, il pensiero critico per la valutazione e per evitare confusione e paure

Il buon professor Campbell nel suo libro – e sottolineiamo che non si tratta di un vero studio – mescola dati acquisiti dalla comunità scientifica (un consumo esagerato di carni lavorate è fattore di rischio per alcuni tipi di tumore) con conclusioni estreme che ricava da un monte di dati, tracciando correlazioni e formulando inferenze non giustificate, per arrivare a consigliare scelte estreme in campo nutrizionale, in netto contrasto con le indicazioni dell’intera comunità scientifica. Alla fine un disservizio anche al suo lavoro, che potrebbe contenere spunti interessanti di meditazione.

Campbell è solo un esempio estremo, ma il panorama dei media è affollato da scienziati e professori, esperti e guru, che sono sempre pronti a indicare nuove e tremende minacce alla vostra salute: dal glutine che vi incolla l’intestino al rischio di acidificazione dell’organismo, dal pericolo dei cibi moderni, che non si accordano al nostro gruppo sanguigno, alle millemila sostanze tossiche, residui, additivi, disruttori endocrini, ormoni, antibiotici e pesticidi che si accumulano in ogni cibo che consumate. Molti lo fanno, come Campbell, sfruttando dati parziali o manipolati, singoli studi, oscuri testi di tanti anni fa, in un crescendo di vittimismo e paranoia, da portatori della verità in un mondo ostile che li perseguita.

Valutate in maniera critica quanto vi arriva da queste fonti — quanto vi arriva da ogni fonte, a dire il vero — con estremo rigore: soprattutto mettete in discussione quanto non fa altro che rinforzare il vostro punto di vista, perché qui sta una delle difficoltà più grandi del nostro processo di valutazione, quello di essere tutti particolarmente suscettibili al bias di conferma — la tendenza a cercare dati e riferimenti che non facciano altro che rinforzare le nostre convinzioni già acquisite — figuriamoci poi se a dirvelo è un esperto con tanto di pedigree accademico (poi magari si scopre che si tratta di un ingegnere che vi indica tutti i pericoli del consumo dell’olio di pesce mentre tenta di commercializzare i suoi integratori lipidici miracolosi, come si racconta qui)

Il problema con gli studi

L’esperto, ma anche il titolista del giornale o il re del click-baiting sul web, sanno benissimo che c’è una frasetta magica in grado di convincere anche l’utente più distratto ad approfondire la lettura; basta aggiungere un bel “lo dice la scienza!” e il gioco è fatto. Ovviamente si citerà poi un bell’articolo, spesso travisato o decontestualizzato, per sostenere tesi di sicura presa, conclusioni tanto semplici quanto strabilianti: l’ananas elimina la ritenzione idrica; la cannella cura il diabete; con la curcuma passa l’artrosi; il limone cura il cancro! Il campionario è praticamente infinito e non passa giorno che non vengano riportati con enfasi i risultati di decine di studi. La lettura più attenta dei lavori spesso rivela un quadro un poco meno esaltante e evidenti manipolazioni a scopo sensazionalistico, con risultati che dalla coltura cellulare in laboratorio sono entusiasticamente e avventatamente trasferiti alla cura di patologie complesse.

Una situazione che ha cause molteplici; in primo luogo la voracità dei media, che hanno bisogno di materiale sempre nuovo, forte e scioccante per attirare lettori distratti e confusi dalla massa di informazioni che ogni giorno minaccia di sommergerli, media alla ricerca costante della sensazione e quindi pronti a ricercare ed amplificare l’elemento d’interesse popolare di ogni lavoro scientifico; quindi la necessità da parte di chi fa ricerca di portare all’attenzione del pubblico i risultati del proprio lavoro, in una continua rincorsa ai fondi che permettano di continuare le proprie ricerche; infine l’intrinseca difficoltà di valutare in maniera corretta uno studio scientifico, problema che non è soltanto del lettore medio ma che spesso interessa anche qualche addetto ai lavori la cui preparazione non è proprio esemplare.

Un singolo studio ha un valore limitato, in particolar modo quando si parla di lavori su colture cellulari o su modelli animali: lavori di questo tipo sono esempi ricerca di base, assolutamente necessaria per individuare nuove aree di indagine, interessanti e potenzialmente produttive. Quando si parla di nutrizione e salute questi lavori, che dovrebbero essere considerati semplicemente delle indicazioni di ricerca, vengono invece spesso indicati come prova definitiva della capacità di un alimento. La linea di pensiero è tanto semplice quanto fuorviante: l’alimento A è ricco della sostanza B, che in vitro — magari a concentrazioni stratosferiche — uccide le cellule cancerose (come se ne esistesse un solo tipo); ne consegue che l’alimento A può prevenire o, addirittura, curare il cancro (rigorosamente inteso come singola e monolitica patologia). In realtà lavori di questo tipo rappresentano  soltanto la fase preliminare di un lungo cammino di ricerca: la possibilità di trasferire quanto individuato in laboratorio nella pratica è tutta da dimostrare. Ovviamente questi studi non vanno certo snobbati, ma debbono essere messi nella giusta prospettiva: punti di partenza, tutti da verificare negli esseri umani.

Anche le indicazioni derivanti da studi su popolazione, lavori epidemiologici, studi di coorte devono essere accolte con la massima cautela: in genere da lavori di questo tipo si ricavano correlazioni tra fattori diversi ma non la certezza che la correlazione osservata implichi in effetti una causalità.  Studi di questo tipo, spesso complessi, protratti nel tempo, con un gran numero di soggetti coinvolti, sono spesso proni a errori derivanti dalla presenza di fattori confondenti difficili da eliminare anche con gli strumenti di indagine più raffinati.

Non sono privi di problemi neppure gli studi clinici randomizzati in cui si indagano due gruppi di individui — gruppi cui i soggetti sono assegnati in maniera casuale —uno dei quali viene sottoposto ad un determinato intervento mentre l’altro è utilizzato come gruppo di controllo. L’assegnazione casuale ai due gruppi riduce la possibilità di distorsioni e aumenta la probabilità che le differenze siano effettivamente dovute al trattamento utilizzato.  I risultati sono particolarmente deboli quando si va a studiare l’efficacia di una dieta nel modificare specifici parametri o nel determinare particolari esiti: i fattori confondenti in gioco sono molti e spesso i partecipanti hanno difficoltà nel seguire correttamente la dieta indicata per periodi di tempo prolungati. I dati ricavati in questo caso vanno interpretati con attenzione e, come sempre, possono avere un valore importante ma mai definitivo.

Gli studi sulla nutrizione sono evidentemente molto complessi, sono afflitti da un enorme numero di potenziali fattori distorcenti, sono irti  di problemi metodologici e, ciliegina sulla torta, sono spesso molto costosi. In queste condizioni il risultato di un singolo lavoro non può e non deve essere considerato come prova schiacciante a supporto di una tesi — posizione molto cara a chi di scienza non ne sa molto — ma soltanto come una tessera di un puzzle che è costruito con pazienza dal meticoloso lavoro di migliaia di ricercatori.

Valutare studi e pareri di esperti nel campo dell'alimentazione e della nutrizione

Il limone è 10.000 volte più potente della chemioterapia! E magari vi portano anche un bello studio, a supporto della audace tesi! E non ve lo hanno mai detto. Segno che la lobby dei produttori di limoni non è così potente come comunemente si crede.Se poi vi prendete la briga di leggere lo studio. scoprirete che riguarda estratti in concentrazioni elevatissime utilizzati su colture di cellule in laboratorio; ma in fondo, che importa? E via di acqua e limone appena alzati.

Negli articoli che leggete su queste pagine, in particolar modo quando si parla delle proprietà nutritive di specifici cibi, trovate spesso citati studi che indicano come questo o quel componente presente nell’alimento possa avere un ruolo nella prevenzione o nel trattamento di qualche patologia. Se siete lettori attenti noterete anche che sottolineo sempre di che tipo di studi si tratta, di come certi dati NON vadano interpretati come verità acquisite e, soprattutto, noterete l’uso costante del condizionale nel riportare i risultati di questi lavori: quando si parla di temi così complessi non esistono certezze, non possono esistere, ma soltanto indicazioni che si vanno via via affinando man mano che sono raccolti nuovi dati. Non esistono alimenti dei miracoli, non esistono cibi killer, esistono stili di vita più o meno sani, in cui alimentazione, movimento e stress vanno a comporre ordito e trama di una arazzo dal disegno complesso e dalle mille sfumature.

Quindi la prossima volta che leggete che “uno studio scientifico dice che” o che un esperto arriva e vi teorizza come “la completa eliminazione della lisina dalla vostra dieta previene il cancro” fermatevi un attimo, tirate un bel respiro e valutate con maggior attenzione quanto avete appena letto o sentito, specie se sembra confortare in pieno la vostra visione del mondo o se, come accade spesso, pare essere troppo semplice e troppo bello per essere vero.

E infatti, puntualmente, non lo è.

Per capire e valutare meglio i lavori scientifici