L’informazione nel campo della salute e dell’alimentazione è spesso preda di distorsioni drammatiche: sensazionalismo ed esagerazione dominano la scena e ogni giorno sui media appaiono nuove storie che individuano cibi killer e comportamenti rovinosi, un idra del rischio le cui molte teste serpeggiano in ogni istante delle nostre vite. Con conseguenze negative per la salute pubblica e la credibilità della scienza.

L’argomento del rischio va per la maggiore, tra i miei pazienti. Molto spesso vogliono sapere se è vero che l’alimento X cura una certa malattia,  o se hanno fatto bene a eliminare questo o quell’altro cibo — sicura causa del cancro — o ancora se con una certa dieta possono o meno arrivare a età venerabili. Se chiedo dove hanno scovato queste informazioni molto spesso mi vengono indicati siti, giornali, articoli i cui titoli annunciano fieri che “c’è uno studio che dice” o l’ancora più perentoria variante “lo dice la Scienza!” (rigorosamente con la S maiuscola).  E in effetti, se uno si fa un bel giro sui media, non faticherà a trovare una miriade di articoli in cui dati provenienti da studi scientifici sono sbandierati per sostenere tesi estreme, mirate a creare paura e seminare dubbi o magnificare le virtù di un alimento o di una dieta. Di solito in questi casi la colpa di questi toni esagerati si fa ricadere proprio sui media, affamati di click e lettori da dare in pasto alla pubblicità, ma la realtà è più complessa.

Comunicazione della scienza, fake news, esagerazioni e allarmismo nel campo della salute e dell'alimentazione

La curcuma dei miracoli: in vitro, visto che nel nostro organismo viene assorbita in quantità molto ridotte. Comunque è buona: e dà un colore allegro al cibo.

Chi è che esagera?

A quale livello, nella catena di comunicazione che va dagli scienziati nei loro laboratori sino al pubblico — attraverso riviste scientifiche e quindi stampa, televisione e web — nascono esagerazioni e distorsioni? È la domanda che si sono posti diversi ricercatori che si occupano di comunicazione della scienza, una domanda che non è così esoterica come potrebbe apparire ma che ha invece enormi ricadute a livello sociale.

“Il modo in cui le informazione relative alla salute sono riportate nei media ha un impatto potente ed importante nel modo in cui sono gestite cure e comportamenti che hanno un impatto sul benessere della popolazione. Di solito la colpa per notizie chiaramente esagerate, sensazionaliste ed allarmistiche è addossata a a media e giornalisti ma il nostro studio mostra che tali distorsioni non nascono nei media ma sono già presenti nei comunicati stampa degli enti di ricerca”

A parlare è Petroc Sumner, professore di Psicologia all’Università di Cardiff e autore di uno studio che si propone di individuare dove nascano le distorsioni così diffuse nella comunicazione relativa a scienza e salute [1].

I media sono in grado di influenzare il comportamento di scienziati, medici e dell’intera popolazione, con effetti che possono essere negativi se il messaggio veicolato è fuorviante, fino ad arrivare  a situazioni drammatiche, come il rifiuto delle vaccinazioni sull’onda dello studio di Wakefield, caso estremo in quanto ad essere fraudolento era proprio lo studio di partenza, manipolato ad arte dall’autore per scopi personali [2]. Anche senza considerare queste situazioni particolari, il rischio è che l’effetto cumulativo di questa pessima comunicazione possa erodere progressivamente la fiducia nella scienza e nella medicina.

I risultati di lavori di ricerca vengono pubblicati su riviste scientifiche, dedicate agli addetti ai lavori, ma vengono anche presentati ai media attraverso comunicati stampa. Lo spazio che uno studio si guadagna sui media è un punto a favore degli autori  e delle Università presso cui lavorano: l’attenzione porta prestigio e il prestigio a sua volta porta nuovi fondi per la ricerca. Per questo motivo può capitare che i comunicati inviati ai media siano pensati in modo da presentare il lavoro in maniera interessante, affascinante, sexy, anche se questo significa amplificare o esagerare la portata dei risultati.

Petroc e collaboratori nel loro studio hanno esaminato oltre 600 articoli dedicati a studi sulla salute, confrontando il modo in cui i risultati erano riportati nei media al testo effettivamente pubblicato su riviste scientifiche. Si considerano esempi di esagerazione o distorsione tutti quelli in cui:

  • viene riportato un rapporto di causalità quando è stata rilevata soltanto una correlazione. Il consumo di un alimento è correlato ad una patologia quando in uno studio di popolazione un elevato consumo dell’alimento indagato è accompagnato da un aumento dell’incidenza della patologia. Questo non indica necessariamente che sia l’alimento a causare quell’aumento: in genere risultati di questo tipo devono essere considerati punto di partenza per studi clinici più accurati che possano dimostrare l’effettiva esistenza di un nesso causale
  • vengono trasferiti agli esseri umani risultati ottenuti sul modello animale. Un problema molto diffuso nel campo dell’alimentazione: un certo alimento causa il cancro nei topi quindi è pericoloso anche per gli umani. Anche qui si tratta semplicemente di studi preliminari che richiedono notevoli approfondimenti; i fattori in gioco sono tanti e spesso è facile saltare a conclusioni decisamente affrettate.
  • vengono dati consigli ben precisi per la salute che non sono presenti nello studio originale. Altro grande classico dell’alimentazione: lo studio mostra correlazione tra il consumo di un certo alimento e alcune patologie, l’autore cautamente fa notare l’associazione e suggerisce la necessità di studi più approfonditi, sui media compare il titolo a caratteri cubitali che indica come consumare quell’alimento sia causa sicura della malattia.

I risultati, per un certo verso, sono stati sorprendenti: esagerazione e distorsioni nei media arrivano al 60-86% quando simili esagerazioni sono già presenti nei nei comunicati stampa che presentano lo studio; quando i comunicati sono privi di distorsioni e riportano fedelmente i risultati del lavoro le inaccuratezze nei media si fermano invece al 10-18%.

Secondo Sumner il problema non è quindi soltanto a livello dei media ma dipende in misura rilevante dal modo in cui le istituzioni presentano i loro lavori e, in particolar modo, potrebbe avere in parte origine dal modo in cui i ricercatori illustrano i risultati dei loro studi a chi poi li comunica ai media: la ricerca di fondi e di prestigio potrebbe infatti spingere gli autori a presentare in maniera poco rigorosa i loro risultati, introducendo esagerazioni che possano aumentarne l’impatto. Gli studi sono letti da pochi addetti ai lavori, i media leggono i comunicati stampa e quello che trovano in queste sintesi influenza in maniera rilevante il modo in cui ne parleranno poi sui principali canali di informazione.

Le cattive notizie paiono generare maggior copertura mediatica, probabilmente perché le conclusioni sono più facili da riassumere in uno slogan ad effetto, che arrivi immediato ai non addetti ai lavori; analoga fortuna incontrano quei lavori le cui conclusioni sembrano indicare prodigiose e inusitate virtù di un qualche alimento, sempre, ovviamente, esagerate ad arte.

Esistono linee guida per la comunicazione della scienza in università, istituzioni e agenzie di comunicazione del settore, ma spesso rimangono lettera morta. Se già nei comunicati stampa si amplifica e distorce la portata dei lavori i media — pressati dalla continua ricerca di lettori e click da dare in pasto alla pubblicità — seguiranno il pessimo esempio e contribuiranno ancora di più ad ingigantire la portata dei risultati del lavoro. Se i comunicati che arrivano nelle redazioni riportano in maniera più accurata risultati e conclusioni allora, almeno secondo il lavoro di Sumner, i media mostrano una ridotta tendenza a esagerazione e sensazionalismo nel riportare la notizia: anzi, alcuni studi mostrano che la tendenza è quella a riferire in maniera accurata quanto presente nel comunicato. [3, 4, 5, 6]

Esagerazioni, allarmismo e fake news nella comunicazione della scienza: dove nascono e come proteggersi dalla distorsioni nell'informazione su cibo, alimentazione esalute

La carne è il nuovo tabacco! Non è una serie su Neflix, ma la parola d’ordine che scaturisce da un’interpretazione esagerata e distorta dei dati che arrivano dalla ricerca. Con grande risalto mediatico.

A chi dobbiamo credere, allora?

Non sono molti quelli che hanno il tempo, il desiderio e gli strumenti necessari alla lettura di articoli scientifici sui temi della salute. Molto spesso quello che arriva al pubblico è il riassunto di un comunicato, comunicato che magari è stato pensato per richiamare l’attenzione dei media sullo studio.

Una grande responsabilità ricade su scienziati, ricercatori e su tutti quelli che si occupano di comunicare la scienza ai media. A costo di ridurre l’eco mediatica dei propri lavori è necessario sottolineare sempre la necessità di interpretare i risultati ottenuti con cautela, valutandoli nel contesto più ampio dei dati disponibili sullo specifico argomento trattato, sottolineando, quando sia il caso, la natura preliminare e in costante divenire dei risultati ottenuti.

L’utilizzo di certi termini, piuttosto che di altri, può cambiare completamente la percezione di un lavoro. Se riporto che il consumo di un alimento potrebbe aumentare l’incidenza di una patologia indico una potenzialità; se invece affermo che quel consumo raddoppia l’incidenza della malattia ho implicato una causalità che probabilmente nei dati non è rilevata.

Certo, per chi legge tutte queste cautele possono parere esagerate, inutili e fonte di insicurezza. Qualche settimana fa pubblicai un articolo su legame tra alcol e cancro, cercando di riportare in maniere più fedele possibile le indicazioni di correlazione che scaturiscono da un gran numero di studi. Una lettrice ha giudicato così quell’articolo:

Il testo è un insieme di forse, potrebbe, si ipotizza e non si conosce ancora. Non lo ritengo educativo.

Se il pubblico vuole certezze e noi quelle certezze non le abbiamo è nostro dovere dirlo, è nostro dovere chiarire la natura reale e la reale portata dei dati che abbiamo a disposizione. Chi fa scienza deve resistere alla tentazione di esagerare la portata del proprio lavoro, chi comunica deve cercare di essere neutrale, deve resistere alla tentazione del titolo ad effetto, della conclusione che calamita l’attenzione del pubblico: a costo di perdere visibilità, quel prezioso e intangibile bene che oggi va per la maggiore.

Non faccio ricerca ma lavoro con dei pazienti che si affidano e, spero, si fidino di me. Quando si parla di notizie su salute e alimentazione suggerisco sempre loro di tenere sempre ben presenti alcuni punti per valutare al meglio:

  • Questa notizia pare troppo bella per essere vera? Probabilmente non lo è. Probabilmente si stanno tirando per i capelli i dati scaturiti da uno studio. La curcuma cura il cancro: probabilmente lo fa utilizzata a dosi altissime, in laboratorio, su cellule tumorali. Un bicchiere di vino la sera aiuta a dormire? Probabile: magari chiedetevi quali altri problemi potrebbe causare un tale consumo di alcol. Lo stesso vale per le cattive notizie, spesso in questi casi ad essere esagerato è il rischio. Infatti in comunicati ed articoli si parla in genere di aumento del rischio relativo, che può raggiungere valori notevoli, e raramente di rischio assoluto che invece potrebbe essere modestissimo. Se consideriamo una malattia che ha una incidenza ridotta nella popolazione – basso rischio assoluto — ad esempio 1 morto ogni 100.000, e indichiamo che il consumo di un certo alimento provoca un aumento del 50% del rischio relativo potremmo impressionarci enormemente: in realtà la mortalità, ammesso che la popolazione indulga tutta concorde nel comportamento a rischio, passerebbe appena a 1,5 morti ogni 100.000. Mezzo morto in più ogni 100.000, scriteriati, soggetti: la minaccia si ridimensiona.
  • Questa notizia è di qualche rilievo, per me? Se gli studi sono fatti su culture cellulari, vermi o topi siamo a stadi preliminari, da approfondire seriamente: le conclusioni non sono immediatamente applicabili agli esseri umani. Se si tratta di studi clinici bisognerebbe capire chi sono i soggetti studiati, cosa è stato studiato e quali sono gli effettivi risultati. Se non siete un obeso, diabetico e nefropatico, probabilmente certe conclusioni derivate da lavori su certi soggetti non si applicano automaticamente anche a voi.
  • Questa notizia ha retto nel tempo? Le novità creano sensazione ma la scienza è in continuo divenire e in alcuni campi, specialmente salute e alimentazione, certi lavori vengono superati man mano che altri studi e altri dati si accumulano. E in alcuni casi le conclusioni di un lavoro possono essere rovesciate grazie a studi successivi che permettono di chiarire meglio certi meccanismi. Questo è percepito come un grosso problema dal pubblico ma è invece indice che scienza e ricerca sono sane e in continua evoluzione.

Coltivare un sano scetticismo aiuta. Esagerazione e ricerca dell’effetto possono servire interessi diversi nel breve periodo, ma non servono di sicuro l’interesse reale delle persone e, in ultima analisi, sono una forma di autolesionismo per chi lavora in campo scientifico: minano alla base la fiducia nella scienza e nel nostro lavoro e rischiano di farci finire come quel giovinetto della fiaba che gridava “al lupo, al lupo”.


Per saperne di più sul tema del rischio potete leggere questi articoli:

Vi lascio con il sempre valido Joe Jackson che non ha paura di cantarvi la verità, quella che nessuno vi dirà: everything gives you cancer!