Un vecchio detto recita “Uomo de panza, uomo de sostanza” legando indissolubilmente il volume addominale al successo nella vita. Detto quantomeno fuorviante, visto che l’accumulo di grasso viscerale è un importante fattore di rischio per malattie cardiovascolari e metaboliche. La pancia non è più uno status-symbol ma  un nemico interno in grado di produrre effetti devastanti.

In un passato di carestie e privazioni un soggetto ben nutrito aveva maggiori possibilità di sopravvivenza. Non stupisce quindi che in molte culture il concetto di grasso sia associato a quello di bello o giusto e che l’uomo o la donna più in carne godessero di una considerazione speciale.

Fortunatamente per noi, a differenza di quanto avveniva fino a pochi decenni fa, viviamo in un’epoca di abbondanza, con una grande quantità di cibo disponibile; cibo molto spesso assai ricco — di calorie se non di nutrienti — che assieme ad una progressiva riduzione dell’attività fisica è probabilmente alla radice di un costante aumento del sovrappeso e dell’obesità.

L’uomo de panza oggi non è l’eccezione, il soggetto abile e fortunato in grado di accaparrarsi quel poco nutrimento disponibile, ma è ormai quasi divenuto la regola: un individuo che ha perso il suo status privilegiato per ritrovarsi invece a convivere con un rischio aumentato per una miriade di malattie, a partire da quelle legate a cuore e circolazione, prima causa di morte nel mondo.

Grasso viscerale: cosa è, quali sono i rischi per la salute, ridurlo con la dieta

Cinque uomini de panza in serena attesa del loro primo incidente cardiovascolare. Una circonferenza addominale superiore a 102 cm per gli uomini e 88 cm per le donne è infatti un importante fattore di rischio per patologie del cuore e dei vasi.

Cosa è il grasso viscerale

L’omo de panza — ma anche la donna de panza, non facciamone una questione di genere, via — è un soggetto obeso e la diffusione dell’obesità, negli ultimi 50 anni, è più che duplicata. Un fenomeno che sta assumendo dimensioni preoccupanti in tutto il mondo occidentale dove, in alcune aree, la percentuale di soggetti obesi arriva al 30% tra gli uomini e al 35% tra le donne.

L’obesità è definita utilizzando l’indice di Massa Corporea (IMC) di un soggetto, ovvero il rapporto tra il peso e l’altezza in metri elevata al quadrato; individui con un valore maggiore di 30 sono considerati tecnicamente obesi.

Una definizione molto comoda e semplice da utilizzare; ma molti studi hanno dimostrato che, quando si prende esclusivamente in considerazione l’IMC, soggetti con valori elevati presentano stato di salute, patologie associate e aumento del rischio molto differenti.

Una buona fetta di soggetti obesi in effetti sviluppa patologie cardiovascolari o metaboliche ma c’è una minoranza significativa di obesi metabolicamente sani che non è affetta queste malattie. Inoltre pare possa esistere un paradosso dell’obesità per cui certi individui obesi presentano una prognosi migliore quando colpiti da alcune patologie acute o croniche: un fenomeno controverso rilevato in alcuni lavori ma che diversi autori pensano possa essere dovuto ad altri fattori legati sia alle modalità degli studi, sia alla selezione e al trattamento dei soggetti studiati.

Un fattore che comunque emerge chiaro dall’analisi dei dati è che il rischio aumenta quando l’accumulo di grasso è a livello viscerale, mentre il grasso sottocutaneo pare essere molto meno pericoloso.

Per capire il perché di questi dati bisogna capire meglio la natura del tessuto adiposo, un tessuto che in passato era considerato semplicemente come un grande deposito, inerte e passivo,  in cui accumulare l’energia in eccesso in forma di trigliceridi, per renderli poi nuovamente disponibili, in forma di glicerolo e acidi grassi liberi, nel momento in cui l’organismo ne avesse avuto bisogno. Una visione semplicistica, del tutto ribaltata negli ultimi anni.

Quello adiposo è un tessuto attivo, un vero e proprio organo endocrino  che lavora di concerto con gli altri organi, sistemi e apparati, producendo un gran numero di sostanze — citochine, leptina, adiponectina — in grado di modularne l’attività.

Un sistema in delicato equilibrio che quando viene perturbato può portare ad una condizione definita adiposopatia, caratterizzata da una forte deposizione di grasso in aree dove non è fisiologicamente accumulato —fegato, pancreas, cuore, muscolo scheletrico —, da una alterata secrezione di citochine e ormoni e da insulinoresistenza. È la presenza di questa condizione in alcuni soggetti obesi a determinare un aumento delle patologie correlate, una vera e propria disfunzione del tessuto adiposo, legata alle aree in cui si accumula il grasso in eccesso, e non un semplice aumento della massa grassa, .

Il tessuto adiposo è distribuito in due grandi compartimenti che hanno caratteristiche metaboliche molto differenti:

  • Il grasso sottocutaneo (SAT Subcutaneous Adipose Tissue), distribuito al di sotto della pelle e tipicamente più abbondante nelle donne, in particolar modo nella zona attorno ai fianchi, sulle cosce e sulle natiche. Questo tipo di grasso non risulta associato ad un aumentato rischio per patologie cardiovascolari e metaboliche e un accumulo in queste aree, quando non è non accompagnato da un aumento del grasso viscerale, può addirittura essere considerato protettivo.
  • Il grasso viscerale (VAT Visceral Adipose Tissue) è invece il grasso che si va ad accumulare tra e negli organi della cavità addominale — fegato e pancreas — attorno al cuore, attorno e nei muscoli e intorno ai vasi. Il grasso viscerale è metabolicamente molto attivo, è un grande produttore di ormoni e citochine e purtroppo la maggior parte di queste sostanze partecipa attivamente ai processi infiammatori che sono alla base delle molte patologie associate all’obesità.

È quindi un eccesso di grasso viscerale ad essere pericoloso, come hanno dimostrato studi che hanno indagato la variazione del rischio cardiovascolare in soggetti per i quali i valori dell’Indice di Massa Corporea sono stati messi in relazione alla quantità di grasso viscerale presente. In questi lavori si è visto chiaramente che sono i soggetti con maggior accumulo di grasso viscerale a presentare rischio elevato per patologie cardiovascolari e metaboliche, anche quando il loro Indice di Massa Corporea sia inferiore a quello di individui con ridotta presenza di VAT. [1, 2, 3, 4]

Grasso viscerale: il rischio per la salute

La condizione necessaria perché si possa parlare di adiposopatia è l’accumulo di grasso viscerale.

Ci sono alcuni fattori che predispongono all’accumulo di VAT: gli uomini e le donne dopo la menopausa presentano una maggiore tendenza alla deposizione, tendenza che aumenta all’aumentare dell’età. Inoltre ci sono anche differenze legate alla discendenza: soggetti di etnia asiatica hanno una tendenza maggiore, mentre una tendenza ridotta è caratteristica di soggetti di etnia africana. Gli europei stanno nel mezzo.

Un’abbondante riserva di grasso viscerale è associata a molti marcatori caratteristici di patologie cardiovascolari e metaboliche:

  • ipertensione;
  • insulinoresistenza;
  • infiammazione;
  • aumento dei trigliceridi;
  • aumento del colesterolo LDL e VLDL;
  • calcificazione delle coronarie;
  • formazione della placca aterosclerotica.

Spesso è anche presente steatosi epatica, un forte accumulo di grassi a livello del fegato, condizione che pone l’organo sotto sforzo, aumentando il rischio di cirrosi e altre patologie. Il fenomeno è favorito dal continuo rilascio di acidi grassi nella circolazione portale da parte del grasso viscerale, acidi grassi che nel fegato determinano un aumento della biosintesi dei lipidi che favorisce insulinoresistenza, iperlipidemia, ipertensione e aterosclerosi.

Il grasso viscerale è anche un grande produttore di citochine, molecole proteiche in grado di stimolare processi cellulari come crescita, differenziazione e morte, a livello locale e sistemico.  Tra le molecole prodotte hanno grande importanza TNF-α (Tumor Necrosis Factor α), probabilmente coinvolto nella comparsa di insulinoresistenza, e PAI-1 (Inibitore dell’attivatore del plasminogeno) che nel soggetto con sindrome metabolica è considerato un forte fattore di rischio per la formazione di trombi.

La produzione di queste sostanze aumenta all’aumentare della massa di grasso viscerale, mentre cala contemporaneamente quella di adiponectina, una citochina dall’attività decisamente positiva visto che favorisce l’utilizzo di grassi a livello del muscolo, diminuisce l’apporto di acidi grassi al fegato e riduce i processi che portano alla formazione di glucosio. Purtroppo soggetti con forte accumulo di grasso viscerale presentano livelli molto bassi di adiponectina.

Visto il ruolo attivo che riveste il tessuto adiposo, in particolar modo quello viscerale, si crea una situazione che determina un forte aumento del rischio, tanto che l’accumulo di grasso viscerale è considerato uno dei principali predittori della mortalità per ogni causa. La “panza” sarà anche sostanza, ma la sostanza pare essere decisamente tossica. [5, 6, 7, 8]

Cos'è il grasso viscerale, i rischi per la salute, diminuzione e dimagrimento

La dieta è fondamentale per ridurre il grasso viscerale ma l’attività fisica, anche se non così strenua come nella foto, è un grande aiuto per ridurre il rischio e mantenersi in forma e in salute.
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Valutare ed eliminare il grasso viscerale

Valutare la quantità di grasso viscerale presente non è molto semplice. Le tecniche migliori sono quelle che permettono una stima diretta come DEXA, TAC e RM, metodi di indagine che tuttavia hanno dei costi non indifferenti e controindicazioni che ne limitano l’utilizzo in quest’ambito a progetti di ricerca.

Meglio rcicorrere a indici di facile valutazione come:

  • circonferenza alla vita;
  • il rapporto tra circonferenza alla vita e circonferenza ai fianchi;
  • il rapporto tra circonferenza alla vita e altezza.

La misurazione della circonferenza alla vita è molto semplice e viene considerata un indicatore abbastanza affidabile per il rischio cardiovascolare e metabolico, indipendentemente dall’altezza del soggetto. Nell’uomo è buona una circonferenza inferiore ai 94 cm, è da valutare con attenzione quando sia compresa tra 94 e 102 cm, è un fattore di rischio se superiore a 102 cm.
Nella donna è ottimale una circonferenza inferiore agli 80 cm, è da valutare con attenzione con valori tra gli  80 e gli 88 cm, è un fattore di rischio quando superiore agli 88 cm.

Generalmente soggetti sedentari e forti mangiatori presentano un accumulo maggiore di grasso viscerale e sono quindi maggiormente esposti a rischio. [9, 10, 11]

Cosa fare quando ci si rende conto di avere un eccesso di grasso a livello viscerale? La risposta immediata è molto semplice: bisogna dimagrire, riducendo il più possibile la quantità di grasso viscerale, cercando di riportare la circonferenza alla vita nei valori di sicurezza per il proprio sesso.

Questo implica, nella maggior parte dei casi, un deciso cambiamento nello stile di vita del soggetto. L’aspetto legato all’alimentazione è sicuramente importante, ma non va trascurata l’attività fisica, determinante per migliorare lo stato metabolico complessivo e migliorare la sensibilità insulinica.

Una dieta ricca di verdura, frutta, cereali e legumi, in pratica una dieta ricca di fibre e con una forte componente di origine vegetale risulta associata a bassi livelli di grasso viscerale, mentre una dieta a base di alimenti grassi, fritti, alcol, carni lavorate, bevande zuccherate e prodotti raffinati è associata alivelli elevati di grasso viscerale. Nel primo caso abbiamo una dieta basata su prodotti freschi, molto ricca di nutrienti che hanno però una densità calorica ridotta; nel secondo caso abbiamo una dieta fatta in maggioranza da prodotti preconfezionati — il cosiddetto cibo-spazzatura — che è invece molto povero di nutrienti ma abbonda in calorie.

Probabilmente alcuni degli effetti di una dieta obesogena, sono legati al microbiota intestinale, alla risposta di questo ai cibi introdotti e alle sostanze prodotte dalla enorme varietà di specie presenti. Uno studio recente mostra che in soggetti con grasso viscerale ridotto presentano una popolazione numerosa di Eubacterium dolichum e livelli elevati di ippurato, una sostanza che viene formata dalla degradazione, da parte del microbiota, dei polifenoli presenti in frutta e verdura e da processi metabolici a livello di fegato e reni. Livelli elevati di ippurato stimolano la produzione da parte del tessuto adiposo di neuroglobina, una sostanza in grado di ridurre ipossia e stress ossidativo, fattori fondamentali nello sviluppo di adiposopatia, con un probabile effetto protettivo.

Studi d’intervento hanno mostrato che una dieta equilibrata porta ad una significativa diminuzione del grasso corporeo, sia sottocutaneo che viscerale. L’esercizio fisico aiuta, non perché permetta di ridurre ulteriormente il grasso viscerale — diversi lavori mostrano che l’esercizio fisico porta soprattutto a una riduzione del grasso sottocutaneo — ma perché permette al sistema di lavorare nelle migliori condizioni possibili, riducendo le anomalie legate all’adiposopatia e migliorando la sensibilità ai segnali che provengono dai diversi organi e apparati in risposta agli stimoli esterni.

Esercizio che deve diventare una componente quotidiana e irrinuciabile del nostro stile di vita e non essere costantemente sacrificato a quelle che ci paiono urgenze improcastinabili, vista l’importanza che riveste per la nostra salute, essenziale per affrontare con successo le urgenze di cui sopra.

Appare quindi evidente che la “pancia”, in una società in cui regna l’abbondanza, è tutto fuorché un segno di benessere e salute, anzi è decisamente l’opposto e richiede un intervento deciso sul proprio stile di vita nel caso ci si accorga che il proprio girovità sia un po’ troppo esuberante. [12, 13, 14]