Quando si parla di alimentazione e salute capita molto spesso di doversi confrontare con chi riferisce di esperienze assolutamente positive con alimenti, diete o integratori che, secondo chi parla, si sono rivelati un toccasana, qualcosa di assolutamente miracoloso. E se si obietta che l’esperienza di un singolo non rappresenta una prova convincente dei possibili benefici di un intervento si rischia di incorrere in reazioni piccate se non scomposte.

La notte del 24 marzo 1944 Nicholas Alkemade, sergente della RAF,  uno dei sette membri dell’equipaggio di un bombardiere che stava rientrando alla base dopo una missione su Berlino, si trovò di fronte ad una scelta estrema: morire tra le fiamme, nelle carlinga dell’aero colpito da un caccia nazista, o gettarsi da un’altezza di più di 500o metri, senza il paracadute andato distrutto nell’incendio. Il giovane sergente scelse di tentare la sorte e saltò nella gelida aria notturna, preferendo morire a causa della caduta che finire bruciato tra le lamiere del velivolo in fiamme. Alkemade fu fortunato: i rami di alcuni pini e l’abbondante neve al suolo rallentarono la sua caduta e l’aviatore, fatto prigioniero dai tedeschi, se la cavò con una distorsione alla caviglia.

Perché vi racconto questa storia? Perché è davvero eccezionale, il racconto di uno dei pochissimi sopravvissuti — si contano sulle dita di una mano — a cadute da grande altezza, senza paracadute. Per la stragrande maggioranza degli altri, invariabilmente, il salto si conclude con un violento impatto al suolo e la morte. Eppure, se chiedeste al fortunato sergente, vi risponderebbe che secondo la sua esperienza si può fare, si può cadere da 5000 metri senza rimetterci la pelle. Una testimonianza molto particolare, che somiglia molto al racconto di chi ha curato questa o quella malattia con il solo aiuto di una dieta miracolosa, di un integratore, di un alimento: “Con me ha funzionato!“, un’affermazione che spesso accende speranze che quasi sempre finiscono deluse, che spinge ad abbandonare pratiche ben collaudate, sicure ed efficaci, per abbracciare interventi dalla dubbia efficacia.

Situazioni di questo tipo sono molto frequenti, anzi sono spesso la norma, sui più popolari canali di comunicazione, dalla tv ai social, dove la testimonianza diretta di un singolo soggetto diventa dimostrazione evidente e irrefutabile della doti salvifiche di un cibo o di una dieta.

È naturale che ognuno di noi faccia riferimento alla propria personale esperienza, o a quella di chi gli è vicino, per costruirsi un’opinione, per formulare un giudizio sui risultati di un nuovo piano alimentare, su modifiche più o meno importanti alle proprie abitudini alimentari, sull’effetto di uno specifico integratore sulla propria pratica sportiva; molto spesso però le nostre impressioni sono influenzate dalla aspettative che riponiamo in questi interventi e dalla costante ricerca di una conferma tangibile della bontà delle nostre scelte, distorsioni quasi automatiche ci portano a magnificare gli effetti positivi senza considerare il contesto in cui tali effetti si sono manifestati, trascurando sistematicamente ogni possibile effetto negativo.

Qualche tempo fa ho parlato dei problemi che presentava un recente studio ampiamente riportato su tutti i media italiani, dedicato al possibile utilizzo della lattoferrina nella prevenzione e nella cura di COVID-19. Mi hanno molto colpito le risposte di alcuni soggetti che riportavano la loro esperienza positiva: tutti affermavano che la lattoferrina che avevano assunto aveva giocato un ruolo essenziale nel debellare il virus e che quindi non era assolutamente il caso di criticare quel lavoro ed elencarne i punti deboli (peraltro evidenziati anche dagli autori) perché si sarebbe finito per impedire ad altri l’accesso ad un presidio che per loro si era mostrato determinante.

Non ho motivo di dubitare dell’assoluta buona fede di questi signori, che dopotutto stavano riportando la loro personale esperienza, tuttavia questa testimonianza non può certo giustificare l’indiscriminato uso della lattoferrina come cura per COVID-19, l’automatico passaggio da una singolo dato particolare all’universale, tanto più che i loro racconti erano decisamente schematici e parziali e non facevano riferimento all’eventuale uso di altri farmaci, alle condizioni dei soggetti o al tempo trascorso tra l’utilizzo dell’integratore e la guarigione; dati che, quando analizzati con attenzione, possono cambiare decisamente la chiave di lettura del loro racconto.

Quando si parla di studi scientifici, di protocolli di cura, di interventi sull’alimentazione, la testimonianza di un singolo, positiva o negativa che sia, è soltanto un minuscolo tassello in un processo di valutazione che è ben più complesso e che deve tener conto di un gran numero di fattori, spesso sistematicamente trascurati quando il soggetto riferisce la propria personale esperienza.

Benefici per la salute e studi su singoli

Il club dei sopravvissuti a cadute da grandi altezza senza paracadute. Sono sette persone. Per le altre svariate migliaia è andata decisamente peggio e, purtroppo, non sono qui a raccontarci della loro esperienza negativa. La morale: diffidare dell’aneddotica perché può riservare spiacevoli sorprese.
(Fonte dell’immagine statista.com)

N=1  e studi scientifici

In campo scientifico, la testimonianza di un singolo sulla bontà di un dato intervento, ha un valore molto limitato e circoscritto, proprio perché può essere stata influenzata da una miriade di fattori di cui il soggetto stesso non solo non ha tenuto conto ma che ha addirittura ignorato. L’aneddotica personale è interessante, può fornire spunti di lavoro stimolanti, ma di certo non è la base sulla quale si va a consigliare quell’intervento ad altri soggetti o si emanano linee guida

Prima di stabilire che un alimento, un integratore o una dieta possano avere un qualche effetto, positivo o negativo, è necessario sottoporlo ad uno scrupoloso esame attraverso studi scientifici, in condizioni controllate, cercando di ridurre al minimo i fattori confondenti. Soltanto così si potrà valutare se i risultati osservati dal singolo sono generalizzabili o sono invece il frutto di circostanze contingenti che nono possono essere estese alla popolazione.

Esiste una piramide delle evidenze quando si parla di studi scientifici che stabilisce una sorta di gerarchia che ordina i differenti tipi di studi per accuratezza, affidabilità, ridotti margini di errore e minima vulnerabilità a bias, o distorsioni, derivanti da fattori confondenti che potrebbero in qualche modo alterarne i risultati. In questa piramide sono compresi anche gli studi di un singolo caso dove n, il numero dei soggetti studiati, è uguale a 1. I lavori n=1 possono essere report di casi o studi di intervento, sono sempre più utilizzati in ambito scientifico, soprattutto in questi ultimi anni, ma hanno una caratteristica essenziale che li distingue dagli aneddoti che possiamo raccontarci tra noi: sono eseguiti cercando di tener traccia di tutti i fattori che sono pertinenti alla situazione in esame, in modo da minimizzare la possibilità di errori e l’influenza del caso. [1, 2, 3, 4]

Per poter valutare scientificamente la bontà di un intervento è quindi necessario seguire procedure che soddisfano criteri molti stringenti, soprattutto quando si lavora su di un unico soggetto, tenendo sempre comunque conto che un singolo risultato ha un valore limitato e può e deve essere messo in discussioni da nuovi lavori e nuovi dati.

Smorzare gli entusiasmi

Prima di raccomandare a tutti l’uso di dosi massicce di vitamina C — perché quest’anno prendendole non avete avuto il raffreddore — è quindi bene fermarsi un attimo a riflettere su alcuni punti essenziali che magari ci aiuteranno a temperare entusiasmi ingiustificati, risparmiare spese inutili e evitare potenziali effetti collaterali che magari ignoriamo ingenuamente ma che possono esser presenti se l’intervento non è stato ben ponderato.

In primo luogo è bene tener conto di tutti i cambiamenti che abbiamo messo in campo assieme all’intervento specifico che ci ha tanto impressionato, interventi che potrebbero aver contribuito  o addirittura essere i soli responsabili dei risultati che abbiamo osservato. Se assieme all’integratore sto assumendo dei farmaci è evidente che questi avranno un ruolo — in genere importante — sugli esiti finali del problema che mi interessa.

Anche le caratteristiche personali e la storia del singolo giocano un ruolo importante. Età, sesso, peso, livello di attività fisica, presenza di patologie: si tratta di fattori in grado di influenzare in maniera decisiva i risultati di un intervento.

Parlando di patologie è anche importante considerare quanto l’integratore incida sul naturale decorso della patologia. In alcuni studi la vitamina C pare ridurre la durata del comune raffredore: di circa mezza giornata, risultato tuttaltro che memorabile. E nello studio citato relativo a lattoferrina e COVID-19, i tempi di guarigione dei soggetti cui è stato somministrato l’integratore sono molto simili a quelli che ci si aspetta nel decorso della malattia senza complicazioni. Che un risultato statisticamente sia apprezzabile è possibile: è tuttavia necessario stabilire che abbia un valore anche dal punto di vista clinico (in questo articolo la differenza tra le due situazioni).

È evidente che il resoconto di una singola esperienza, senza tener conto dei fattori sopra elencati — che sono soltanto alcuni dei più evidenti e immediati nel giocare un ruolo più o meno importante nel determinare certi risultati — può al massimo rappresentare un punto di partenza, non certo una base solida su cui prendere decisioni importanti per la propria salute e quella degli altri.

Il rischio concreto è che sulla base di questi aneddoti si possano prendere decisioni avventate che possono avere conseguenze drammatiche: magari arrivare a rinunciare a cure dalla provata efficacia preferendo affidarsi a integratori, alimenti dalle virtù miracolose o diete stravaganti spacciate da guru più o meno  in malafede, esponendosi a rischi anche fatali.

Ogni testimonianza va interpretata in maniera critica, dove il termine critica non ha alcun connotato negativo ma indica semplicemente un processo di valutazione attenta dei dati riportati e dei fattori che possono aver determinato o infleunzato quel risultato.

Il rischio, altrimenti, è di buttarsi senza paracadute da 5000 metri sulla base del racconto del sergente Alkemade, senza aver però la fortunata combinazione di venti, correnti, coperture boschive, rami intricati e un manto nevoso morbido e fresco, che hanno permesso la sua singolarissima esperienza di superstite.
Ve la sentite di provare?