Spesso leggiamo articoli che esaltano le mirabolanti proprietà di certi cibi, basati su studi che rilevano come un buon consumo di questi alimenti possa avere effetti più o meno rilevanti sui marcatori di specifiche patologie. Tutto bellissimo, le vendite del prodotto taumaturgico si impennano, la speranza è alle stelle; ma davvero certi effetti osservati negli studi hanno un impatto reale per la nostra salute?

Gli studi scientifici, un tempo destinati agli addetti ai lavori, sono diventati letture POP, da utilizzare come appoggi per sostenere questa o quella tesi, con poco riguardo per lo scopo reale dei lavori e la portata e il significato dei risultati  ottenuti. Quello che conta, spesso, è inquadrare questi risultati nella propria narrazione preferita, semplificando, focalizzando l’attenzione su dati particolari, trascurando il quadro generale a tutto favore di quanto può confermare il nostro punto di vista, spesso motivati da palesi interessi economici.

Risultati statisticamente significativi

La lettura di uno studio scientifico non è semplicissima, richiede una preparazione specifica che permette di porre i risultati ottenuti in una prospettiva corretta. Molto spesso si pongono in rilievo risultati statisticamente significativi confondendoli, in maniera decisamente ingenua, con risultati dal chiaro significato clinico. Si tratta invece di una distinzione molto importante che andrebbe sempre tenuta a mente quando si voglia valutare in maniera equilibrata i dati che emergono da uno studio.

Supponiamo che l’obiettivo di uno studio sia verificare se il consumo di un certo alimento, poniamo le lenticchie, abbia un qualche ruolo nella prevenzione di patologie cardiovascolari. Spesso studi di questo tipo si concentrano sull’individuazione di un legame tra il consumo del cibo in esame e specifici valori che sono individuati come marcatori del rischio cardiovascolare: colesterolo totale, colesterolo LDL, colesterolo HDL, trigliceridi, pressione sanguigna, specifici marcatori dell’infiammazione, indice di massa corporea e così via.

L’assunto di base da cui partono studi di questo tipo è l’ipotesi nulla, ossia che non esista alcuna relazione tra i due fenomeni misurati, ossia consumo di lenticchie e variazioni dei marcatori del rischio. I risultati sono considerati statisticamente significativi quando la probabilità che possano essere stati ottenuti per coincidenza è inferiore ad un certo valore, il livello di significatività. I livelli di significatività più utilizzati sono il 5%, l’1% e lo 0,1%. Se si utilizza un livello di significatività dello 0,1% in pratica si sostiene che c’è appena una possibilità su mille che i risultati in esame possano essere dovuti ad una semplice coincidenza.

Poniamo che nel nostro studio, in corrispondenza di un aumentato consumo di legumi, si registri una riduzione del colesterolo totale, del colesterolo LDL e della pressione sanguigna, una riduzione che — fatti i dovuti calcoli — si possa definire statisticamente significativa. Stiamo semplicemente affermando che sarebbe davvero sorprendente ottenere risultati di questo tipo se il consumo di legumi non avesse alcun effetto; la possibilità che i risultati ottenuti siano frutto del caso, di una pura coincidenza è decisamente bassa, ovviamente inferiore al livello di significatività utilizzato. Abbiamo rifiutato l’ipotesi nulla, abbiamo dei dati che ci permettono di sostenere che un regolare consumo di lenticchie ha un qualche effetto su alcuni marcatori del rischio cardiovascolare.

I risultati degli studi scientifici e l'impatto sulla salute dei cibi: la differenza tra risultati statisticamente significativi e i risultati con reale significato clinico

Un ampio campionario di cibi che si suppone abbiano mirabolanti proprietà, sulla base di studi scientifici spesso interpretati in malo modo, quando non piegati a evidenti scopi commerciali.

Il significato clinico dei risultati

Rimane da capire se le variazioni osservate hanno un  reale significato pratico, se i cambiamenti misurati hanno un reale impatto sulla salute o sono invece trascurabili. È necessario stabilire il significato clinico dei nostri risultati, operazione non sempre facile. Un dato statisticamente significativo può avere un significato clinico trascurabile: la riduzione della pressione osservata, per quanto apprezzabile, potrebbe comportare una riduzione minima del rischio cardiovascolare, mentre variazioni anche molto piccoli per altri marcatori potrebbero avere un reale significato clinico, determinando una riduzione sensibile del rischio complessivo. Ovvio che qui ci muove in un terreno impervio in cui giocano un ruolo importante assunti e strumenti statistici che non sono facili da gestire neppure per gli addetti ai lavori, con tutta una serie di distorsioni ed errori che possono influenzare in maniera pesante i risultati del lavoro. Un esempio è la dimensione del campione in esame: un campione grande, un gran numero di persone oggetto dello studio, rende evidenti cambiamenti che in un campione ridotto possono essere impercettibili, cambiamenti che tuttavia potrebbero non avere alcun impatto sullo stato di salute complessivo dei soggetti studiati. [1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9]

  Ma allora fa bene alla salute? 

Prima di fiondarsi nel reparto spezie del supermercato e fare incetta di curcuma, cannella e zenzero per curare ogni possibile patologia è bene verificare fonte e natura delle informazioni che tanto ci hanno esaltato. Così come esiste un’industria che specula sulle paure indotte da un’interpretazione allarmistica dei dati che provengono dalla ricerca, ne esiste anche una che prospera e lucra sulle speranze create da una lettura esageratamente ottimistica dei risultati di studi clinici malamente interpretati.

Dispiace dirlo ma non esistono gli alimenti miracolosi, quelli che curano tutto, anche il cancro, oh yeah! Esistono degli stili di vita più o meno corretti, esistono delle scelte migliori o peggiori, con attenzione verso quelli che sono i reali fattori di rischio e una scelta degli alimenti da consumare che riduca al minimo il consumo di cibo spazzatura, senza farsi prendere da ossessioni per le supposte virtù dei cosiddetti supercibi.

Se poi la curcuma vi piace usatela, ma non aspettatevi miracoli, se il vostro stile di vita lascia a desiderare.


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