Il digiuno intermittente prevede che l’alimentazione durante la giornata debba avvenire in un intervallo di tempo limitato,  di solito dalle 6 alle 8 ore, in modo da lasciare lunghi periodi senza alcun consumo di cibo. Si tratta di una strategia popolare anche nel mondo del fitness: ma è davvero possibile conciliare con successo digiuno intermittente e sport?

Il digiuno intermittente può essere praticato con modalità diverse, seguendo dei protocolli che differiscono per la durata del digiuno e della finestra di alimentazione:

  • Il protocollo utilizzato di solito nel campo della ricerca è il digiuno a giorni alterni: ci si astiene dal cibo per 24 ore, per tornare a mangiare nelle 24 ore successive. Anche mangiando liberamente nelle 24 ore in cui è concesso farlo, è quasi impossibile compensare completamente il deficit calorico accumulato durante il digiuno, per cui si ha una perdita di peso e massa grassa. In alcuni studi si è purtroppo anche osservata una piccola riduzione della massa magra, perdita che può essere ridotta o controllata inserendo un singolo pasto, pari al 25% circa dell’introito calorico medio, durante la giornata di digiuno. Studi su soggetti obesi hanno mostrato una buona efficacia, senza effetti collaterali di alcun tipo, con risultati che tuttavia sono simili a quelli ottenuti con una normale dieta con restrizione calorica;
  • Un secondo protocollo prevede un giorno intero di digiuno che può essere praticato da due volte al mese fino ad un massimo di due volte a settimana. Anche qui i risultati di diversi studi sono buoni e in alcuni casi mostrano risultati migliori rispetto ad una normale dieta ipocalorica;
  • Il protocollo più popolare tra chi pratica sport è il digiuno 16/8 che durante la giornata prevede un digiuno di 16-20 ore e un periodo di accesso al cibo di 8-4 ore,  da praticare, volendo, anche ogni giorno. Una forma di digiuno intermittente è quella legata al Ramadan: studi su atleti di fede islamica durante questo periodo hanno mostrato una decisa riduzione del peso corporeo, con perdita sia di massa grassa che di massa magra. Studi su soggetti attivi con un protocollo 20/4 hanno evidenziato una buona perdita di peso, con un significativo miglioramento della composizione corporea, leggermente migliore nel gruppo che seguiva il digiuno intermittente rispetto a quello con dieta normale.
    Studi su soggetti allenati, durante un periodo di lavoro fisico, un protocollo 16/8 ha permesso una maggior riduzione della massa grassa rispetto ad una dieta normale, con un lieve calo del testosterone e degli ormoni tiroidei nei soggetti che hanno seguito il protocollo con digiuno.

Recenti meta analisi hanno confrontato gli effetti di diversi protocolli di digiuno intermittente con normali diete ipocaloriche evidenziando risultati molto simili per entrambe le strategie. Degno di nota il fatto che i soggetti che seguono un digiuno intermittente riferiscono una riduzione della sensazione di fame, effetto che i ricercatori pensano possa essere dovuto alla condizione di chetosi che accompagna spesso il digiuno e che notoriamente porta ad una riduzione dell’appetito.

Niente a che fare comunque con gli ascetici digiuni di dieci giorni a base di acqua e limone, digiuni che possono determinare una sensibile perdita di massa magra una volta che si superino le 72 ore di astinenza dal cibo e che, ovviamente, impediscono di praticare qualsiasi forma di attività sportiva. [1, 2, 3, 4, 5, 6, 7]

Digiuno intermittente e sport: i meccanismi fisiologici

Chi interpreta il comportamento umano alla luce dell’evoluzione sostiene che uno stile di alimentazione in cui si alternano periodi  senza assunzione di cibo a momenti in cui invece si mangia liberamente somigli molto alle condizioni in cui la nostra specie si è evoluta: si tratterebbe quindi di uno stile in grado di assecondare al meglio i meccanismi fisiologici sviluppatesi durante il percorso evolutivo.

In effetti il corpo umano è ben adattato a brevi periodi di digiuno ripetuti nel tempo: la maggior parte delle persone si astiene dal consumare cibo per almeno 10-12 ore durante la giornata, il periodo che intercorre tra la cena e la colazione del giorno successivo. In un periodo di tempo così breve il mantenimento dei normali livelli di glicemia avviene quasi esclusivamente a carico del glicogeno epatico.

Quando si digiuna per un periodo di tempo di 12-48 ore le attività legate a digestione e assorbimento si riducono progressivamente, mentre aumenta il ricorso alle riserve: oltre al glicogeno epatico sono  utilizzati anche grassi e aminoacidi,  questi ultimi destinati soprattutto a produrre il glucosio necessario a livello cerebrale. Se la restrizione calorica si protrae a lungo si ha un utilizzo marcato dei grassi di riserva, con formazione di corpi chetonici e una significativa riduzione dell’utilizzo di proteine. Se il digiuno si prolunga oltre le 48 -72 ore il corpo letteralmente mangia sé stesso, azzerando ogni spesa relativa a crescita e riproduzione, concentrando tutte le poche energie disponibili sul mantenimento e la riparazione delle strutture esistenti.

Un digiuno prolungato è assolutamente controindicato per chi fa sport  perché porta alla soppressione delle molecole segnale responsabili dei processi di crescita, in particolar modo IGF-1 e mTOR, interferendo pesantemente con i processi di recupero e di sintesi di nuova massa muscolare che sono l’obiettivo dell’atleta. Se il digiuno si prolunga ancora la situazione diventa critica: l’organismo non può più far fronte all’esaurimento delle scorte e inizia a utilizzare anche le proteine presenti in tessuti ed organi che finiscono per perdere la capacità di lavorare; se non si torna a mangiare, la storia può davvero finire male.

Molti lavori hanno messo in relazione il digiuno e la restrizione calorica con la longevità e sono stati addirittura proposti protocolli come la dieta Mima-digiuno di Valter Longo che mirano a migliorare lo stato di salute di chi si sottopone a questo tipo di dieta. i dati sono incoraggianti ma richiedono comunque un approfondimento con studi mirati e protocolli di lavoro ben delineati. [8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15]

I vantaggi e le controindicazioni del digiuno intermittente nello sport, i protocolli disponibili, le modalità i benefici e i possibili problemi

Il digiuno intermittente è spesso utilizzato per migliorare la composizione corporea, ridurre la massa grassa e mantenere o aumentare quella magra. Ma va affrontato con cautela, specie dalle donne, per il loro differente profilo ormonale

Digiuno intermittente e sport: utilizzo e precauzioni

Negli ultimi anni protocolli di digiuno intermittente sono stati proposti anche in ambito sportivo. L’obiettivo tipico di chi ha scelto questa strategia è legato al miglioramento della composizione corporea, in particolar modo la riduzione della massa grassa, ma c’è chi ne ha proposto l’utilizzo per migliorare la flessibilità metabolica del muscolo e addirittura per avere un miglior stimolo anabolico e favorire quindi l’aumento della massa muscolare.

Come abbiamo visto gli studi sul tema in realtà sono pochi e riguardano soprattutto situazioni particolari, atleti professionisti durante il Ramadan, o soggetti non allenati. I lavori su atleti mostrano risultati contrastanti e l’eterogeneità dei risultati mostra come sia necessario muoversi con prudenza in questo ambito.

Il protocollo più comunemente utilizzato dagli sportivi è il digiuno 16/8 che prevede una riduzione della finestra di tempo durante la quale è possibile consumare cibo a circa otto ore ma le varianti sono molte, dal Lean Gain di Berkham all’Eat Stop Eat di Pilon fino alla Warrior Diet (sempre sobri con i nomi, in ambito sportivo) di Hofmekler. Si tratta comunque sempre di proposte che provengono da singoli e non hanno a loro sostegno studi ma soltanto un’aneddotica più o meno variegata.

I vantaggi che più comunemente vengono riportati sono diminuzione del peso corporeo, riduzione della massa grassa, riduzione minima o del tutto assente della massa magra, aumento della sensibilità insulinica periferica, aumento dei processi che portano all’utilizzazione dei grassi di riserva e tutta una serie di altri benefici legati all’efficienza dei processi energetici dei mitocondri e della cellula. Mentre alcun dati oggettivamente sono semplici da misurare, per i benefici metabolici molto spesso ci si rifà ai dati che provengono da studi in ambito diverso e non riguardano specificamente soggetti coinvolti in attività fisica.

Chi segue il protocollo 16/8 generalmente lo fa utilizzando una finestra per l’alimentazione che va dalle 12 alle 20. Il digiuno si prolunga quindi dalla cena al pranzo del giorno successivo. L’allenamento è in genere previsto in tarda mattinata, prima del pranzo, in modo da andare a fornire all’organismo tutti i nutrienti che sono necessari per recuperare e crescere nella fase post-allenamento. Studi e dati indicano infatti che le scorte di glicogeno, epatico e muscolare, fortemente intaccate da digiuno ed allenamento, sono più rapidamente ripristinate quando nel periodo immediatamente successivo all’allenamento, e comunque entro le due ore dal termine del lavoro, venga fornita una razione che prevede circa un grammo di carboidrati per  kg di peso corporeo accompagnata da 25-30 g di proteine.

Durante il resto del periodo in cui è permesso alimentarsi si possono prevedere uno o due altri pasti la cui composizione va ovviamente valutata in funzione delle esigenze dell’atleta. Ovvio che in questi pasti si debba comunque consumare con attenzione alimenti ben selezionati, senza sentirsi autorizzati a buttar giù di tutto visto che si è creato un bel deficit calorico grazie alla prolungata astensione dal cibo.

Durante il digiuno è possibile consumare acqua, tisane, tè e caffè, anche se per alcuni l’effetto che il caffè presenta sulla secrezione di alcuni ormoni potrebbe essere un fattore di perturbazione della quiete metabolica che si cerca di raggiungere mediante il digiuno. L’idratazione è comunque importante e va ben curata. Probabilmente è proprio la restrizione dell’idratazione durante il Ramadan a determinare certi cali di prestazione che si osservano in atleti che praticano questa forma di digiuno rituale.

Digiuni di durata maggiore, 24 o più ore, magari ripetuti troppo di frequente possono invece pregiudicare il recupero, specie per chi  ha volumi di lavoro elevati, determinando uno scadimento più o meno rilevante della prestazione e dei benefici che derivano dall’allenamento.

Il digiuno intermittente, in tutte le sue forme, deve essere affrontato con maggior cautela dalle donne che per il differente profilo degli ormoni sessuali tendono a reagire in maniera negativa ad una eccessiva restrizione calorica e ad una forte riduzione della massa grassa. In questi casi la cautela è d’obbligo e bisognerebbe aver cura di non ridurre eccessivamente l’apporto calorico, nonostante il digiuno.

È bene ricordare che una restrizione calorica prolungata nel tempo può determinare un indebolimento del sistema immunitario, fatto che potrebbe aumentare la suscettibilità dell’atleta a varie malattie, specie dell’apparato respiratorio, specie quando l’atleta lavori all’aperto in climi freddi o umidi.

Un altro fatto da tenere in considerazione è che questo tipo di alimentazione, che prevede di alterare e controllare rigidamente tempi e modalità di consumo dei pasti, non è per nulla indicato per soggetti che abbiano una storia di disturbi del comportamento alimentare o che mostrino una predisposizione verso problemi di questo tipo.

Per chi voglia sperimentare con protocolli di questo tipo il consiglio principale è quello di farsi seguire da un professionista esperto di nutrizione per lo sport. Detto questo, ci sono comunque alcuni punti importanti che permettono di impostare il lavoro di digiuno in modo da massimizzare i benefici e ridurre al minimo i potenziali problemi:

  • chiarire bene i propri obiettivi: cosa si intende ottenere utilizzando il digiuno? Migliorare la propria composizione corporea? incrementare l’efficienza metabolica? Disciplinare un’alimentazione disordinata? Obiettivi diversi comportano ovviamente scelte diverse a livello di modalità, tempi e quantità e qualità dei cibi consumati;
  • valutare con attenzione la durata del digiuno: siamo abituati a mangiare quasi in continuazione. Già creare uno spazio di dodici ore durante il quale non si consuma alcun cibo può portare decisi benefici. Allungare  il digiuno certo amplica alcuni effetti ma va fatto rispettando , per quanto possibile, i tempi e le abitudini dell’atleta;
  • fare attenzione alla qualità e alla quantità del cibo consumato: il fatto che si digiuni per 16 ore non deve autorizzare l’atleta a consumare cibo di pessima qualità in grande quantità durante la fase in cui sono previsti i pasti. L’attenzione alla qualità e un’attenta valutazione dell’apporto calorico, evitando un’eccessiva riduzione che potrebbe essere controproducente e minare l’efficacia dell’allenamento, possono amplificare gli eventuali benefici che il digiuno può dare.
  • ascoltare con attenzione il proprio corpo per intercettare i segnali di uno stress eccessivo: un atleta con volumi di lavoro importanti deve fare attenzione a non accumulare allo stress prodotto dal lavoro fisico anche quello determinato dal digiuno, dalla restrizione calorica e da un controllo costante della propria dieta.  Quando si comincia a sentirsi sempre stanchi, quando il sonno è difficile e frammentato, quando, per le atlete donne, si registrano alterazioni del ciclo, è tempo di riconsiderare il lavoro quanto si sta facendo, intenrvenendo su dieta e allenamento, per permettere un adeguato recupero  e un rapido ritorno ad una buona situazione di forma.