Per molti l’alimentazione sta diventando una fede caratterizzata dalla scelta precisa di alimenti buoni e dalla sistematica esclusione di alimenti cattivi, con diete spesso poco equilibrate, monotone o inutilmente restrittive, nella speranza di assicurarsi così salute e benessere per 120 e più anni. Speranza comprensibile ma purtroppo fuorviante e in certi casi davvero pericolosa.

Qualche giorno fa ho ricevuto un messaggio da una persona che non conoscevo. Era un messaggio accorato e adirato: il soggetto in questione aveva letto il mio articolo dedicato al kefir e aveva qualcosa da ridire. La mia colpa era quella di aver affermato nell’articolo che la preziosa bevanda non “cura” il cancro. E mi allegava anche una bella meta-analisi in cui invece si affermava che esistono studi che mostrano come il kefir possa essere utile nella prevenzione e nel trattamento di alcuni tipi di tumori: meta-analisi che prende in considerazione studi su colture cellulari e sul modello animale. WOW!

In realtà, nell’articolo incriminato, io avevo scritto questo:

Il kefir mostra una rilevante attività antinfiammatoria e diversi studi, in vitro e su modelli animali, hanno mostrato effetti positivi per la prevenzione e il trattamento di diversi tipi di cancro. Un ruolo importante lo hanno diversi peptidi rilasciati durante la fermentazione, in grado di indurre apoptosi — in pratica indurre al suicidio — le cellule tumorali stimolando la produzione da parte di queste di radicali liberi, segnale di avvio per i processi che portano all’eliminazione della cellula. Polisaccaridi e sfingomieline prodotti dal kefir possono stimolare l’eliminazione di cellule tumorali da parte del sistema immunitario, riducendone anche il potenziale proliferativo. Altri prodotti del kefir, acido lattico e acido acetico, possono proteggere il DNA da danni e lesioni, riducendo così la carcinogenesi. Si tratta per ora di studi preliminari, ma decisamente interessanti e degni di approfondimento: però non andate in giro a dire che con il kefir si cura il cancro, mi raccomando. [1, 2, 3, 4]

In pratica, avevo riportato fedelmente le conclusioni delle meta-analisi più importanti, sottolineando che gli studi preliminari sono interessanti ma che, ovviamente, la strada da fare è ancora lunghissima, prima che si possa pensare ad una qualche applicazione pratica nella terapia di alcune forme tumorali.

L’infuriata missiva, avendo mostrato oltre ogni ragionevole dubbio la mia cattiva fede, mi invitava a fare pubblica ammenda e a gridare ai quattro venti che “sì, il kefir il cancro lo cura!”: magari con il capo cosparso di cenere.

Perché vi racconto questo trascurabile episodio? Per un motivo molto semplice: perché è sintomatico del modo in cui molte persone considerano gli alimenti che consumano: cibi miracolosi che curano tutto o veleni terribili che uccidono alla sola vista, figuratevi a mangiarli! Un approccio profondamente sbagliato che, unito ad una buona dose di ignoranza su come funzionino e cosa dicano realmente gli studi scientifici — ormai facilmente reperibili e accessibili a tutti grazie alla rete — può produrre risultati davvero pericolosi.

Che sia il kefir, lo zenzero, la curcuma o qualsiasi altro alimento che periodicamente balza agli onori delle cronache — insignito ovviamente del titolo di superfood — c’è sempre un qualche cibo considerato magico, è questa la parola da utilizzare, in grado di curare praticamente tutto, dal cancro al gomito del tennista. In genere la fama si regge su dati fragili, studi preliminari in laboratorio o su animali, raramente studi di popolazione, quasi mai studi clinici con interventi mirati che mostrino effetti realmente apprezzabili, in grado di fare davvero la differenza nei confronti di una qualche patologia.

Capisco che questi possano sembrare dettagli pedanti, diatribe da addetti ai lavori, ma in realtà si tratta invece di temi importanti che possono avere un impatto notevole sulla vita dei soggetti più impressionabili, che magari, spinti dal guru di turno, scelgono di affidarsi a improbabili trattamenti a base di questo o quel cibo miracoloso, di provare diete stravaganti promosse come cura per ogni malanno, magari finendo per trascurare o rinunciare a terapie sperimentate e di provata efficacia. Non si tratta di esagerazioni: qualche tempo fa sono stato contattato da un soggetto cui era stato diagnosticato un cancro che affermava di voler rinunciare alla chemioterapia per lavorare invece con una dieta chetogenica. Inutile dire che ho immediatamente sollecitato questa persona a fare riferimento all’oncologo che lo sta seguendo, senza baloccarsi con queste idee pericolosissime. Un esempio dei potenziali danni che un certo modo di comunicare la scienza della nutrizione può causare.

Credere che un alimento sia miracoloso o un altro possa invece essere la fonte di ogni male è fuorviante e rischia di spostare l’attenzione su particolari poco significativi mentre si perde di vista il quadro generale.

All’estremo opposto ci sono ovviamente quelli che reputano certi alimenti “pericolosi”, per alcune sostanze che contengono, per la possibile presenza di contaminanti, per i presunti effetti che possono avere sul nostro organismo. La lista è lunghissima e esistono innumerevoli tribù dedite ognuna all’eliminazione di questo o quel cibo, in genere senza necessità reale. Chi evita la carne, chi demonizza i carboidrati, chi teme i legumi, chi rifugge latte e latticini: si tratta in genere di gruppi agguerriti e convintissimi delle loro posizioni, sostenute a colpi di studi interpretati mali e di una vasta aneddotica a base di cugini, amici dei cugini e conoscenti vari che da quando hanno eliminato questo o quello stanno tutti così bene. Anche in questo caso ricordo diversi soggetti che mi hanno invitato a riprendere e approfondire gli studi — che a loro dire non mi erano comunque serviti granché — dato che mi ero permesso di sostenere che una dieta variata e misurata, senza particolari esclusioni, a meno che non siano presenti intolleranze ed allergie reali, fosse tutto sommato la scelta migliore.

Io capisco da dove nascono e come si consolidano certe posizioni. Gli esseri umani amano le certezze, indicazioni nette e definite che semplifichino i processi di scelta e gestione in qualunque ambito, figurarsi quando devono scegliere cosa mangiare in funzione del loro benessere. È facile quindi dividere i cibi in buoni e cattivi, seguire diete rigide che riducono al minimo variazioni e possibilità di scelta, mangiare quantità industriali di una dato alimento dagli effetti miracolosi, escluderne invece un altro perché brutto, cattivo e pericoloso. Il tutto supportato da dati spesso manipolati o selezionati ad arte per impressionare chi non sa rassegnarsi al fatto che in ambito scientifico è il dubbio ad essere istituzionalizzato e non la certezza. Non a caso sono stato rimproverato anche perché, parlando dell’impatto sulla salute che può avere il consumo di certi alimenti, utilizzo in maniera eccessiva il condizionale, senza “dare indicazioni chiare e precise”: condizionale che invece è di rigore quando si parla di un tema così complesso come il rapporto tra alimentazione e salute, un rapporto che dipende da una notevole quantità di variabili e che difficilmente è riconducibile al sistema binario che tanti preferiscono utilizzare.

Il mio suggerimento, particolarmente per chi si accorga di essere particolarmente prono a questo tipo di scelte, a questo approccio estremamente semplificato e ingenuo alla dieta, è di valutare meglio il proprio stile di vita in generale,  la propria alimentazione nel suo complesso, l’approccio al movimento e all’attività fisica, la gestione dello stress. Ho conosciuto vegani convinti che erano fumatori incalliti, soggetti che al mattino si facevano acqua, zenzero e limone e la sera due o tre bicchieri di alcolici vari, entusiasti seguaci del China Study chiaramente in sovrappeso ma sicuri di essere al sicuro da ogni male perché non consumavano caseina, propugnatori di non meglio precisate diete evolutive fieri di evitare il temibile glutine che si abbuffavano di bacon e carni varie alla brace a partire dalla colazione. E così via. Convinti sostenitori della loro scelta, interpretata come l’unica possibile, un modo di darsi un centro, un’identità addirittura e quindi non negoziabile, anzi da difendere ad ogni costo di fronte al miscredente che osa metterla in dubbio.

Sarei il primo a gioire se il kefir potesse davvero “curare” il cancro, se semplicemente evitando il glutine, la carne o i fitati si potesse campare felici e in salute fino a 120 anni. Purtroppo la realtà è diversa, diversa dalle favole raccontate dai guru o dalle condizioni molto particolari in cui si fa ricerca nei laboratori, utilizzando colture cellulari o animali. Certo, è importante conoscere le proprietà nutritive e i potenziali — e sottolineo POTENZIALI — effetti sulla salute che il consumo di questo o quel cibo può avere sulla nostra salute. Ma prima di tutto è necessario mantenersi attivi, evitando sovrappeso e sedentarietà, i più importanti e letali fattori di rischio, privilegiando un’alimentazione basata su prodotti di origine vegetale, con un adeguato apporto di macro e micronutrienti, quello necessario alle nostre esigenze reali: senza sperare che un singolo alimento o una dieta restrittiva, penitenziale, possano salvarci dai nostri errori.