La cottura non è soltanto un modo di rendere i cibi più gustosi ma è stato uno dei principali motori dell’evoluzione umana, aumentando la disponibilità energetica dei cibi e rendendone il consumo più sicuro. Il crudismo è suggestivo, ma non pare proprio la scelta migliore.

L’ipotesi della cottura sostiene che il passaggio al consumo di cibi cotti, reso possibile dal controllo del fuoco, sia stato uno dei momenti chiave dell’evoluzione umana, forse più importante del progressivo cambiamento delle abitudini alimentari che vide i primi ominidi abbandonare la dieta frugivora, tipica degli scimpanzè, per passare ad una alimentazione basata su caccia e raccolta. La nuova dieta, non più limitata a frutta e semi, si allargava a comprendere tuberi, legumi, cereali, carne e pesce, cibo che grazie alla cottura diveniva più sicuro, più gradevole, più facile da conservare. Un effetto importantissimo della cottura è quello di aumentare la quantità di energia che l’organismo può ricavare dal cibo, un vantaggio biologico eccezionale per i primi cuochi e i loro discendenti, con cambiamenti a livello non soltanto dell’anatomia e della fisiologia ma anche della psicologia e dei rapporti sociali. Si tratta di cambiamenti avvenuti su scale di tempo lunghissime, nell’arco di due milioni di anni, con una trasformazione profonda che ha reso l’uomo adattato a mangiare cibi cotti, una vera e propria creatura del fuoco.

Crudo è meglio?

Si tratta di affermazioni che sembrano contrastare con la recente moda alimentare del crudismo, che nella sua più rigida declinazione impone il consumo di una dieta costituita completamente da cibi crudi, perlopiù di origine vegetale. L’idea di base è quella di consumare una dieta naturale, quella che i nostri progenitori avrebbero consumato prima di volgersi alla caccia, all’agricoltura, alla tecnologia. In pratica il ritorno ad un supposto giardino dell’Eden che tuttavia, va sottolineato, non è mai esistitito, come ci confermano gli studi sui primati a noi più affini come scimpanzè e gorilla.

Uno studio molto interessante sul tema del crudismo è il Giessen Raw Food Study, condotto in Germania su oltre 500 soggetti che seguivano una dieta prevalentemente o completamente crudista. Tra gli alimenti consumati oltre che frutta, verdura e semi anche un poco di carne, olio pressato a freddo, miele, pesce essiccato. Accanto ad alcuni risultati decisamente positivi, come una riduzione di trigliceridi e colesterolo HDL, si sono osservati anche riduzione del colesterolo HDL, quello “buono” per intenderci, e un forte aumento dell’omocisteina nel sangue, forte fattore di rischio per patologie cardiovascolari.  Probabilmente il dato più rilevante è la notevole perdita di peso dei soggetti che seguivano una dieta crudista rigida, con cali di oltre 10 kg per gli uomini e intorno ai 12 kg per le donne. Parrebbe un risultato positivo ma non lo è, infatti gli autori sottolineavano come “una rigida dieta crudista non è in grado di garantire un apporto energetico adeguato”.  Lo studio evidenziava che tra le donne crudiste oltre il 50% vedeva sparire del tutto il ciclo mestruale, mentre un altro 10% soffriva di cicli irregolari: un chiaro segno di forte impoverimento energetico che impone una risposta drastica all’organismo. Una funzionalità riproduttiva ridotta riportata anche dai maschi, che riferiscono un calo della libido.

Questo studio, compiuto su una popolazione urbana, sana, in grado di poter contare su un vasto assortimento di cibi da consumare nonostante la scelta crudista, mette in evidenza alcuni punti importanti:

  • dal punto di vista evolutivo una dieta che riduce del 50% la possibilità di riproduzione sarebbe stato letteralmente suicida in una popolazione di cacciatori-raccoglitori;
  • l’apporto calorico ridotto era comunque il frutto di cibi crudi che però erano spesso, frullati o macinati, con un contributo rilevante, oltre il 30%, dovuto ad oli ottenuti con processi industriali;
  • i frutti e la verdura consumati sono prodotti dell’agricoltura moderna, selezionati per un miglior apporto energetico e un miglior gusto;
  • un’alimentazione di questo tipo richiede tempi molto lunghi da dedicare ad acquisto, selezione, preparazione e consumo dei cibi.

L’anedottica crudista vuole i seguaci di queste diete sanissimi e vitali, ma come abbiamo visto i dati scientifici ci riportano una realtà con più ombre che luci: se cala il colesterolo LDL, sale l’omocisteina, se cala il peso si riduce anche la capacità riproduttiva. Altro punto spesso riportato a favore sarebbe la presenza di enzimi “attivi” nel cibo crudo, enzimi che andrebbero irrimediabilmente perduti con la cottura: un’idea quanto meno ingenua vista che gli enzimi eventualmente presenti nei cibi, come tutte le proteine, vengono digeriti nello stomaco e nel tenue e, qualora riuscissero a resistere ai processi digestivi, si tratterebbe di molecole provenienti da organismi diversi e quindi con caratteristiche e specificità che ne impedirebbero una qualche funzionalità.

Anche dal punto di vista antropologico non sono riportati gruppi o popolazioni con diete crudiste: il cibo crudo può essere consumato occasonalmente, durante il lavoro o una lunga caccia, ma in genere almeno uno dei pasti della giornata prevede una cottura, mentre il consumo di alimenti crudi è legato soprattutto a circostanze particolari. Vari dati riportati in classici studi mostrano come la morte per denutrizione sia un rischio concreto e tangibile quando ci si nutra esclusivamente di cibi selvatici crudi.

Sulla base dei dati disponibili è evidente che è difficile prosperare con una dieta crudista: la fame e il deperimento sono sempre in agguato, con l’unica eccezione di quei fortunati che vivono nel ricco mondo occidentale e hanno a loro disposizione dei cibi di qualità eccezionale  – dal punto di vista nutritivo – rispetto a quelli che è possibile trovare in natura.

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Cottura e crudismo Piramide alimentare crudista

Una possibile piramide alimentare crudista. Rilevante la dipendenza da un gran numero di alimenti non disponibili o molto diversi da quelli di una dieta crudista allo stato selvatico.

Evoluzione e cottura

Oltre due milioni di anni fa i nostri antenati abbandonarono i lontani cugini, scimpanzè e bonobo, al loro giostrare tra gli alberi e ad una dieta basata su frutta foglie e occasionale consumo di carne, e si avventurarono nella savana, adattandosi a consumare tutto quanto trovavano di commestibile. Tempo e selezione hanno portato agli umani attuali, bipedi con gambe lunghe e piedi piati per mantenere meglio la stazione eretta, con un apparato digerente piccolo, in grado di digerire con facilità cibi cotti, molto meno efficiente alle prese con cibi crudi.

La digestione dei cibi è un processo dispendioso che può contribuire in maniera rilevante al consumo calorico giornaliero. Nutrirsi con cibi cotti ha permesso di selezionare nel tempo soggetti con stomaci e intestini di dimensioni ridotte, in grado di digerire gli alimenti così preparati senza problemi a fronte di un consumo energetico decisamente ridotto. Rispetto agli scimpanzè abbiamo una bocca piccola, labbra deboli — nelle scimmie le labbra forti servono per schiacciare contro i denti frutta e verdure estraendone i succhi — mandibole deboli che si trovano in difficoltà con cibi crudi e duri ma che lavorano senza problemi con cibi cotti, così come avviene per i denti masticatori anch’essi piccoli e deboli. E sono piccoli anche stomaco ed intestino, in particolar modo il colon che non è in grado di contenere la grande massa di fibre da fermentare per produrre acidi grassi come avviene per esempio nel gorilla: grazie alla maggior densità calorica dei cibi cotti possiamo tranquillamente fare a meno di questo potenziale di fermentazione necessario alle grandi scimmie (ricordatelo la prossima volta che vi vengono a dire che i gorilla sono fortissimi anche se mangiano solo erba).

Si tratta di modifiche che indicano un progressivo cambiamento della dieta con una riduzione significativa dell’apporto di fibre e che non possono essere spiegate, per tempi e per modalità, soltanto con un aumentato consumo di carne. I carnivori hanno infatti mascelle e denti robusti per lacerare e sminuzzare la carne cruda che è durissima, trattengono molto a lungo il cibo nello stomaco, per eliminarlo poi dopo un rapido passaggio attraverso un colon decisamente breve, caratteristiche che non troviamo negli ominidi. Consumare carne è stato sicuramente importante per l’evoluzione umana, ma questa carne, dura e difficile da digerire, ha richiesto di essere battuta o frollata, o, meglio ancora, cotta. Oltretutto, checché ne dicano i sostenitori della paleo dieta, la carne ha rappresentato soltanto una parte dell’alimentazione degli ominidi. Larga parte della dieta è sempre stata di origine vegetale, e più ci si allontanava dall’ambiente della foresta minore l’importanza della frutta, maggiore quello di radici, tuberi e semi. Tutti alimenti difficili da digerire con un apparato digerente come quello di Homo abilis o Homo erectus, il che ci induce a pensare, suffragati anche da dati derivanti da scavi e ritrovamenti archeologici, che la cottura abbia permesso, sia nel caso della carne, sia nel caso dei vegetali, di rendere disponibili una maggior quantità di energia che è stata il carburante necessario per i processi evolutivi che hanno plasmato la nostra specie.

I cambiamenti si sono avuti non soltanto a livello anatomico ma anche fisiologico. La cottura distrugge i microbi e rende il cibo più sano ma ad esempio ha costretto il nostro apparato digerente a fare i conti con i diversi composti prodotti nella reazione di Maillard, una complessa serie di fenomeni che ha luogo tra carboidrati e aminoacidi, in specie lisina, e che porta all’imbrunimento dei cibi cotti, dalla carne alla brace, alle patate fritte, alla crosta del pane. Alcuni di questi composti sono potenzialmente cancerogeni ma gli esseri umani potrebbero aver una tolleranza verso il loro consumo, un ambito di studio da approfondire per provare il nostro profondo adattamento a cibi riscaldati.

Gli esseri umani presentano anche una bassa tolleranza a tannini, i composti astringenti presenti in molti vegetali e responsabili della sensazione di allappamento, e a tossine, presenti nella carne e prodotte da batteri, verso le quali avremmo dovuto avere maggior resistenza se il consumo di carne cruda fosse stato così importante a fini evolutivi: un’altra conferma indiretta che la cottura, ancor più dell’introduzione della carne nella dieta, è stata uno dei motori dell’evoluzione umana. [4, 5]

I benefici della cottura, la reazione di Maillard

La reazione di Maillard è fondamentale nell’impartire colore e gusto ai cibi cotti con particolari tecniche. Alcuni dei composti che si formano sono problematici: sarebbe interessante valutare se abbiamo evoluto maggior tolleranza nei loro confronti.
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Il valore energetico della cottura

Gli esseri umani hanno un cervello grande, con elevato costo energetico, sono molto efficienti nell’accumulare grassi di riserva, non sono molto veloci o forti ma estremamente resistenti, in grado di lavorare per periodi di tempo prolungati a intensità medio-alta. Gravidanza e allattamento richiedono alla donna una spesa energetica rilevante, l’infanzia è lunga e la maturità viene raggiunta molto tardi rispetto agli altri primati. Consumiamo molta energia e abbiamo un fabbisogno energetico giornaliero rilevante che, come abbiamo visto, sarebbe stato difficile se non impossibile da soddisfare con una dieta cruda basata su cibo selvatico. L’introduzione della cottura è stata determinante poichè ha permesso di aumentare in misura rilevante l’energia ricavata dal cibo, necessaria a soddisfare tutte queste nostre peculiarità.

Tuberi e carne sono consumati da almeno due milioni di anni: la carne come cibo di rilevantissimo valore nutrizionale ma difficile da ottenere — non è che nella savana abbondassero macellerie — tuberi come cibo di ripiego ma molto facile da reperire e raccogliere. I tuberi sono molto ricchi di amido, uno zucchero complesso con struttura semicristallina, accumulato in questi organi come materiale di riserva. La cottura gelatinizza l’amido trasformandolo in un massa più facilmente attaccabile dagli enzimi digestivi e quindi maggiormente digeribile. Oltretutto l’amido cotto può essere masticato più facilmente e, perdendo liquidi durante la cottura, vede aumentare decisamente la densità energetica del materiale consumato. L’effetto è evidente sugli animali, che ingrassano in misura maggiore consumando tuberi cotti, rispetto a tuberi crudi battuti o semplici tuberi crudi, ed è evidente anche nell’uomo dove si calcola un guadagno calorico dovuto alla cottura pari al 12-36%.

Anche per la carne si osserva un fenomeno simile. La cottura ne denatura le proteine rendendo le catene proteiche più facilmente accessibili agli enzimi digestivi: aumenta in misura rilevante la quantità delle proteine digerite dal soggetto, rispetto a quelle digerite dal microbiota intestinale e quindi completamente perdute. La cottura inoltre, pur rendendo più dure le fibre muscolari, gelatinizza il connettivo che le tiene unite e permette quindi una miglior masticazione, con un rilevante aumento dell’area esposta all’azione degli enzimi digestivi. Infine, particolare non trascurabile, la cottura uccide molti dei patogeni spesso presenti, da particolari ceppi di  Escherichia coli,  a Salmonella, a Campylobacter, batteri in grado di causare malattie anche molto gravi e comunque dispendiose dal punto di vista energetico.

Recenti studi mostrano che anche per alimenti ricchi di lipidi, come mandorle e nocciole, la cottura aumenta l’energia disponibile, probabilmente anche qui rendendo più facilmente accessibile all’azione degli enzimi digestivi la frazione lipidica.

Ovvio che la cottura possa anche determinare una riduzione del contenuto di certi nutrienti presenti nei cibi: sono soprattutto alcune vitamine e minerali a venir distrutti o perduti. Tuttavia la perdita di questi nutrienti è ampiamente compensata dal maggior apporto energetico e può essere ridotta aumentando varietà e tipo di preparazione dei cibi consumati: una parte della nostra dieta prevede comunque il consumo di alimenti che non richiedono cottura, ottime fonti di nutrienti termolabili.

In definitiva risulta evidente che l’apporto calorico degli alimenti cotti è maggiore di quello determinato dagli stessi alimenti crudi, sia perché la digestione dei primi è più semplice e quindi richiede una minor spesa energetica — effetto termogenico del cibo minore — sia perché grazie alla cottura molti nutrienti sono resi disponibili a processi digestivi e di assorbimento, mentre nel cibo crudo vanno perduti o sono solo parzialmente utilizzati. L’introduzione della cottura ha quindi aumentato la densità calorica dei cibi in maniera rilevante, permettendo di deviare l’enorme quantità di tempo ed energia che le grandi scimmie dedicano ad alimentazione e digestione a compiti diversi, in primo luogo un cervello più pesante e complesso, in grado di svolgere funzioni più elevate, ad esempio capire il processo attraverso il quale esso stesso si è evoluto.  [6, 8, 9, 10]

Cottura e crudismo, benefici e problemi

I nostri lontanissimi antenati non se ne rendevano conto, ma mettere a punto una tecnologia con cui dominare il fuoco avrebbe profondamente cambiato il futuro dei loro discendenti.
Anche a tavola.

Conclusioni: calde, calde

Il progressivo modificarsi della dieta e l’introduzione della cottura sono stati uno dei motori dell’evoluzione umana, determinando cambiamenti profondi nell’anatomia e nella fisiologia dei nostri corpi. E i cambiamenti non sono stati soltanto fisici, come osservava l’antropologo Claude Lévi-Strauss ne Il crudo e il cotto:

La cucina non segna soltanto il passaggio dalla natura alla cultura, per merito suo la condizione umana si definisce con tutti i suoi attributi.

Cambiamenti che sono in atto ancora oggi, più rapidi di quanto non si creda: studi stimano che siano sufficienti 300-400.000 anni per determinare variazioni in forma e funzione dell’apparato digerente e soltanto 20-30.000 anni per alterare l’espressione genica di enzimi digestivi (interessante il caso della lattasi e lo sviluppo della tolleranza al lattosio) [11]. Il nostro apparato digerente è quindi ormai perfettamente adattato a consumare una dieta di cibi cotti e lavorati, anzi, si trova in difficoltà con diete crudiste strette.

Tuttavia viviamo in un mondo in cui i cibi consumati non sono soltanto cotti, ma lavorati e raffinati a tal punto che alcuni autori parlano dell’uomo non più come onnivoro ma come cucinivoro. La lavorazione e la raffinazione aumentano ulteriormente l’apporto energetico dei cibi, amplificando quanto avvenuto con la cottura, ma nello stesso tempo possono ridurre il contenuto di alcuni nutrienti e aumentare la presenza di sostanze potenzialmente tossiche. Una situazione complicata, che vede i nostri organismi in difficoltà, mentre cercano di adattarsi, per la prima volta nel corso dell’evoluzione, ad un surplus energetico anziché a una costante e pericolosa carenza.

La nostra specie è una specie adattabile e a questo deve il suo successo evolutivo, ma non è infinitamente adattabile. La sfida attuale, perlomeno nel ricco mondo occidentale, è quella di trovare un equilibrio tra la nostra dipendenza da cibi cotti e raffinati e la nostra biologia. La risposta non sta in scelte estreme e poco rispondenti alle nostre reali esigenze come le diete crudiste, vagheggiare di un passato idilliaco che non è mai esistito, ma in un lavoro quotidiano che ponga il cibo al centro della scena, scevro da isterismi e nevrosi, con attenzione alla qualità e alla quantità di quanto consumiamo, senza focalizzare l’attenzione su singoli nutrienti ma volgendo la nostra attenzione all’equilibrio globale della nostra dieta e al nostro stile di vita. [12]

Bibliografia

Claude Lévi-Strauss. Il crudo e il cotto. 2008 Il saggiatore

R. Wrangham. L’intelligenza del fuoco. 2011 Bollati Boringhieri

D. Lieberman. La storia del corpo umano. 2014 Codice edizioni

M. Harris. La nostra specie. 1994 Biblioteca Universale Rizzoli