Mantenere il peso raggiunto dopo una dieta dimagrante è difficile per molte persone e le strategie utilizzate per evitare di recuperare i chili perduti sono tante. Uno studio pubblicato sul The British Medical Journal indica una possibile strategia, efficace soprattutto per certi soggetti: seguire una dieta low-carb.

Qualunque dieta è sempre accompagnata da alcuni adattamenti fisiologici che ne riducono l’efficacia nel tempo. Tra questi si ipotizza che possa avere un ruolo importante la progressiva riduzione della spesa energetica che sarebbe causata dal limitato apporto calorico. Inoltre aumenterebbe anche la sensazione di fame, creando una situazione che per molti soggetti rende davvero difficile mantenere il peso raggiunto grazie alla dieta.

Per spiegare questa situazione alcuni autori ipotizzano che sia il consumo di crescenti quantità di carboidrati — in particolar modo zuccheri semplici, che causano un forte rilascio di insulina — a favorire l’accumulo dei nutrienti consumati a livello del tessuto adiposo, con conseguente aumento del peso e della massa grassa. In queste condizioni la fame risulterebbe aumentata e la spesa energetica diminuita quindi un peso corretto sarebbe sempre più difficile da mantenere. Un modello che è stato spesso messo in discussione, con alcune recenti meta-analisi che paiono non mostrare significative differenze nella spesa energetica tra soggetti che seguono diete low-carb e low-fat. [1, 2, 3, 4]

Un recente studio pubblicato sul “The British Medical Journal” mostra un quadro diverso, decisamente a favore delle diete low-carb. E visto che si tratta di uno studio clinico con un protocollo decisamente interessante vale la pena di esaminarne i risultati con attenzione.

Gli effetti di una dieta low-carb sulla spesa energetica

Gli autori principali dello studio “Effects of a low carbohydrate diet on energy expenditure during weight loss maintenance: randomized trial” sono Ebbeling e Ludwig, entrambi dell’Harvard Medical School di Boston. Ludwig in particolare è uno dei principali sostenitori della teoria che vede il binomio carboidrati-insulina come principali responsabili di quella che ormai è considerata una vera e propria epidemia di obesità.

Lo studio ha reclutato 234 soggetti sovrappeso e obesi che in una prima fase hanno seguito una dieta base — ripartizione dei nutrienti carbo 45%, grassi 30%, proteine 25% — per circa 10 settimane. I soggetti che hanno perso almeno il 12% del peso iniziale, un dimagrimento che è caratteristico di buona parte delle diete comunemente utilizzate, sono stati reclutati per la seconda fase del lavoro.

I 162 soggetti che hanno avuto un dimagrimento soddisfacente sono stati assegnati, in maniera del tutto casuale, a tre diversi gruppi, ognuno dei quali ha seguito una dieta di mantenimento con differente contenuto di carboidrati:

  • dieta ad elevato contenuto di carboidrati, 60% delle calorie totali
  • dieta a medio contenuto di carboidrati, 40% delle calorie totali
  • dieta a ridotto contenuto di carboidrati, 20% delle calorie totali

120 soggetti hanno terminato il percorso, durato 20 settimane, mantenendo il peso raggiunto al termine della fase di dimagrimento, con oscillazioni massime di circa 2 kg.

Per ogni soggetto sono stati valutati diversi parametri, con misurazioni relative alla spesa energetica, alla concentrazione di glucosio, insulina, grelina e leptina, utilizzando tecniche molto precise. I soggetti hanno consumato pasti appositamente preparati per ognuno di essi, in modo da eliminare potenziali fattori di disturbo, inevitabilmente presenti quando un soggetto prepara in maniera autonoma il proprio cibo.

I risultati del lavoro mostrano alcuni punti interessanti:

  • La spesa energetica totale è maggiore nei soggetti con dieta low-carb, con una differenza oscillante tra 209 e 278 kcal al giorno. In pratica si osserva una diminuzione della spesa energetica totale di circa il 50-70 kcal/die per un aumento del 10% del contributo dei carboidrati all’introito calorico totale. Un effetto che non si è ridotto durante le 20 settimane dell’intervento e che potrebbe quindi essere direttamente legato alla ripartizione dei macronutrienti della dieta. Gli autori hanno calcolato che un effetto simile potrebbe portare a perdere circa 10 kg in tre anni, posto che il soggetto non cambi in maniera significativa la propria dieta;
  • I livelli della grelina sono più bassi nei soggetti con diete low-carb. La grelina è un ormone prodotto da stomaco e pancreas che aumenta la sensazione di fame, spinge quindi ad una maggior consumo di cibo, riduce la spesa energetica e favorisce l’accumulo di tessuto adiposo;
  • I livelli di leptina sono inferiori nei soggetti con una dieta low-carb. La leptina è prodotta dal tessuto adiposo e una sua riduzione in questo caso sembra suggerire un aumento della sensibilità all’azione di questo ormone — che è tra i responsabili della sensazione di sazietà — come evidenziato da alcuni studi epidemiologici che hanno mostrato come un maggior calo dei livelli di leptina dopo una dieta comporti un minor rischi di recupero del peso perduto.

Un dato importante che emerge dallo studio è che questi effetti risultano molto maggiori in quei soggetti che presentano di base una maggior secrezione di insulina,un dato che sembra suggerire che in popolazioni particolarin la composizione della dieta di mantenimento possa avere un ruolo molto importante nel successo a lungo termine della dieta.

Punti di forza dello studio sono lo stretto controllo sui partecipanti, che ha permesso di eliminare molti fattori di disturbo, l’attento controllo sulla composizione della dieta seguita in entrambe le fasi, l’utilizzo di tecniche di misurazione molto precise e la lunga durata dell’intervento.

Rimane il rischio che, nonostante le tecniche di misurazione molto precise, ci siano comunque errori di valutazione della spesa energetica totale, e che possano esserci state trasgressioni dei soggetti che, pur ricevendo pasti personalizzati, non sono monitorati costantemente e potrebbero aver trasgredito, anche se le tecniche di analisi dei dati hanno cercato di tener conto di questi fattori e di altri potenziali elementi di disturbo come il livello di attività fisica, l’effetto termico dei cibi consumati e l’attività del tessuto adiposo bruno.

In definitiva lo studio indica che nel medio periodo un’alimentazione low-carb permette di mantenere con maggior facilità il peso raggiunto dopo una dieta dimagrante, particolarmente in quei soggetti che all’inizio del percorso di dimagrimento presentano una maggior secrezione di insulina: un’alimentazione a medio o elevato apporto di carboidrati. [4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12]

Dietalow-car e mantenimento del peso dopo il dimagrimento, l'efficacia di una dieta a basso contenuto di carboidrati nel determinare un aumento della spesa energetica

Rinunciare a un certo tipo di alimenti, quelli comunemente definiti cibo spazzatura, permette di migliorare in maniera decisa la qualità della dieta, riducendo l’apporto di zuccheri semplici e, secondo gli autori dell’articolo, aumentando la spesa energetica complessiva: la ricetta giusta per il mantenimento del peso corporeo adeguato.

Una low -carb è la soluzione migliore?

I risultati di questo studio sembrano indicare che la composizione della dieta sia in grado di influenzare la spesa energetica complessiva, perlomeno in certi soggetti. Un tema molto caro a Ludwig, che da anni lavora per dimostrare che una dieta ricca di zuccheri semplici favorisce l’accumulo di grasso, in aperto contrasto con l’opinione ufficiale che indica invece l’apporto calorico complessivo come fattore fondamentale nel controllo del peso.

Lo studio è molto interessante e ben condotto, variabili e fattori di distorsione dei dati sono stati controllati accuratamente e i protocolli di misura utilizzati sono lo stato dell’arte: tuttavia si tratta di un singolo lavoro che necessita ovviamente di ulteriori approfondimenti, proprio perché i risultati vanno contro quanto dimostrato dalla maggior parte degli studi disponibili sul tema.

La riduzione dell’apporto di carboidrati potrebbe essere indicata soprattutto in un sottogruppo particolare, quello dei soggetti che già di base presentano livelli di insulina elevati, mentre l’effetto sulla popolazione generale pare meno rilevante.

Gli autori sottolineano che un effetto analogo potrebbe essere ottenuto con diete dall’apporto calorico controllato e con una contemporanea riduzione del carico glicemico complessivo, ossia con la riduzione del consumo di cibi ricchi di zuccheri semplici, quelli che spesso sono definiti cibi spazzatura. Gli autori sono statunitensi e questo ovviamente ne condiziona in misura notevole il punto di vista: cibi ricchi di zuccheri, bibite e snack sono consumati in quantità rilevanti e in queste condizioni il semplice passaggio ad una dieta più ricca di prodotti integrali e verdura può già fare meraviglie. In questo senso lo studio non dice nulla di particolarmente rivoluzionario ma va invece a confermare quanto acquisito da una mole impressionante di lavori precedenti.

Una dieta low-carb — che non è necessariamente una dieta chetogenica o una dieta paleo — può davvero essere utile in una fase di transizione in quei soggetti che presentano elevata secrezione di insulina, una situazione comune tra individui diabetici e obesi: se nuovi lavori confermassero l’aumento della spesa energetica legato alla composizione della dieta rilevato da questo studio, sarebbe possibile stilare indicazioni appropriate nel trattamento di patologie importanti e diffuse, obesità e diabete in primis, malattie sempre più diffuse che hanno, tra l’altro, un impatto non trascurabile sui costi della sanità pubblica.

Per soggetti in buona salute la soluzione migliore rimane una dieta variata, ricca di verdure, prodotti integrali, legumi e frutta — tutti alimenti con un carico glicemico modesto — lontana da ogni eccesso, con un apporto calorico adeguato rispetto alla spesa energetica totale. A questo punto la quantità di carboidrati presente sarà soltanto un dettaglio minore, come la manciata di calorie in più che la dieta low-carb dovrebbe permettere di spendere. Meglio lavorare sulle proprie abitudini che contare su effetti che, pur se significativi, sono in definitiva marginali rispetto al quadro complessivo del nostro stile di vita, questo sì da curare con ogni attenzione.