Non passa giorno senza che sui media rimbalzino gli stupefacenti risultati di dozzine di studi scientifici sulla nutrizione. Risultati che magari contraddicono i dati pubblicati soltanto poco tempo prima o addirittura rovesciano quelle che parevano posizioni ormai acquisite. Un fatto che crea disorientamento e confusione, alimentando dubbi e paure che spesso lasciano spazio a chi su timori e speranze specula e prospera.

A scorrere quanto i media riportano della ricerca scientifica nel campo della nutrizione è legittimo provare un poco di confusione: prima i grassi saturi sono il male e vanno evitati come la peste, poi è il turno dei carboidrati che sono i soli responsabili dell’attuale epidemia di obesità; attenti alle proteine che distruggono i reni, ma se siete anziani aumentatene il consumo; la carne fa venire il cancro, ma non tutta , solo quella conservata; il pesce fa bene, ma meglio evitare che contiene mercurio; le uova aumentano inesorabilmente il colesterolo, anzi no, vanno benissimo! E così via, in un turbinare di indicazioni diverse, spesso contrastanti, che ovviamente lasciano i non addetti ai lavori disorientati e dubbiosi, creando situazioni che permettono il prosperare di tutto un sottobosco di soggetti che facendosi forte di questo o quel dato, spesso selezionato e manipolato ad arte, propongono soluzioni pseudoscientifiche tanto fantasiose ed inefficaci quanto suggestive, comunque sempre molto vantaggiose (economicamente) per chi le propone.

Perché nel campo della nutrizione si osserva questa notevole variabilità delle indicazioni, questo rovesciarsi di posizioni che sembravano solidissime e si rivelano poi esagerate o addirittura vengono contraddette? Perché anche gli studi scientifici — lasciando perdere i media, che debbono far cassetta con titoli roboanti — molto spesso danno risultati radicalmente diversi che rendono difficile chiarire in maniera inequivocabile temi di grande interesse, a partire dal ruolo di specifici nutrienti nella genesi di specifiche patologie?

Studi scientifici e nutrizione: i punti critici

La risposta non è semplice: sono tanti infatti i fattori che contribuiscono a determinare questa situazione, fattori che dipendono sia dalla complessità dei temi studiati, sia dalle modalità con cui questi temi vengono investigati, sia dalle tecniche impiegate per l’analisi dei risultati.

Studiare l’impatto che il consumo di un determinato alimento ha sulla nostra salute non è cosa semplice. Gli effetti del consumo di un determinato cibo non sono immediati, spesso si palesano dopo anni o decine di anni. Sono quindi necessari studi molto lunghi, e molto complessi perché oltre che del tempo è necessario tenere in considerazione anche l’impatto di tutta una serie di altri fattori che potrebbero contribuire in maniera significativa a determinare i risultati osservati. Molti degli studi che cercano di chiarire come specifici nutrienti possano influenzare  la nostra salute sono studi di coorte, lavori che seguono grandi gruppi di persone per lunghi periodi, raccogliendo un gran numero di informazioni relative a diverse variabili, come consumo di certi alimenti, stili di vita, attività fisica e così via. Dopo un determinato lasso di tempo alcune caratteristiche del gruppo esaminato sono comparate a gruppi di controllo, spesso la popolazione nel suo insieme, al fine di testare specifiche ipotesi. In lavori di questo tipo la selezione dei soggetti studiati, i parametri considerati, la modalità con cui sono raccolte le informazioni, le tecniche con sui sono elaborate, possono influenzare in maniera importante i risultati finali: studi con obiettivi analoghi ma con significative differenze relative ai criteri indicati possono dare risultati diversi.

Ovvio che tutti questi fattori sono chiaramente indicati e presi in considerazione da chi lo studio lo realizza, per cui i risultati vengono sempre interpretati con una certa cautela. Rimane tuttavia la possibilità che molti degli effetti osservati possano essere dovuti a fattori particolari legati allo stile di vita dei soggetti studiati o ad altri fattori non presi in considerazione. Un piccolo esempio: una serie di studi di coorte eseguiti sui membri della setta avventista, vegetariani o semi-vegetariani per motivi religiosi, ha mostrato che una dieta vegetariana  comporta una riduzione della mortalità per tutte le cause, particolarmente per patologie cardiovascolari, con effetti più importanti tra gli uomini. Si tratta di dati interessanti ma gli autori dei lavori sono i primi a sottolineare che il gruppo studiato è molto particolare, ha uno stile di vita diverso da quello della popolazione generale, con bassissimo consumo di alcol, maggiore attività fisica e forte coesione sociale, per cui gli effetti osservati potrebbero essere imputabili al contributo di diversi fattori e non soltanto ai parametri considerati. Lavori che prendono in esame gruppi più omogenei, ad esempio soggetti vegani ed onnivori che presentano analoga attenzione alla composizione della dieta e allo stile di vita in generale, non mostrano differenze significative tra i due gruppi, entrambi caratterizzati da una mortalità minore rispetto alla popolazione generale: dati che sembrano indicare che il ruolo protettivo osservato più che essere ascrivibile al consumo di specifici alimenti sia dovuto in realtà allo stile di vita nel suo complesso. [1, 2]

Anche gli studi clinici non sono esenti da problemi: in questi lavori i soggetti vengono assegnati in maniera casuale a due gruppi, uno dei quali viene sottoposto ad un determinato intervento mentre l’altro è utilizzato come gruppo di controllo. L’assegnazione casuale ai due gruppi è mirata a ridurre la possibilità di distorsioni dovute alla selezione dei soggetti o alle modalità specifiche dello studio, e aumentare la probabilità che le differenze siano effettivamente dovute al trattamento utilizzato. Studi di questo tipo sono, come potete immaginare, molto complessi e costosi da realizzare, spesso il numero di partecipanti è ridotto, spesso sono indagate popolazioni particolari — ad esempio soggetti obesi o diabetici — spesso l’indagine è eseguita per periodi di tempo limitati, molte volte l’intervento è fatto utilizzando quantità e modalità di consumo dell’alimento che sono decisamente lontane da quelle che usualmente si fanno nella vita di ogni giorno. Le difficoltà ci sono sia quando si indaghi l’effetto sulla salute dovuto al consumo di un nutriente sia che si intenda valutare cosa accade cosa avviene quando il consumo venga invece diminuito. Se riduco il consumo di grassi saturi nella dieta ma nello stesso tempo aumenta il consumo di altri nutrienti l’effetto osservato è dovuto alla riduzione dei primi o all’aumento dei secondi? Molte volte non è così semplice capirlo e il risultato finale del lavoro può variare in maniera importante, pur se l’indagine riguarda il medesimo tema, in funzione delle modalità specifiche d’intervento dei diversi lavori.

La piramide delle evidenze scientifiche per la valutazione degli studi nel campo della nutrizione e dell'alimentazione

Non tutti gli studi scientifici sono uguali, esiste infatti una gerarchia delle evidenze scientifiche: man mano che si sale verso l’alto aumenta l’affidabilità dei dati riportati, sottoposti ad uno scrutinio e ad una revisione che garantiscano la solidità dei risultati.

E in effetti, mentre i media amano rilanciare con toni enfatici i risultati di singoli studi, in ambito scientifico gli studi, dai lavori preliminari su colture cellulari o sul modello animale agli studi di popolazione o clinici, sono soltanto singoli tasselli di un puzzle che il professionista preparato sa essere molto complesso, composto da migliaia di pezzi diversi, da rimettere insieme con grande pazienza e attenzione. E infatti un ruolo importante lo hanno revisioni sistematiche e meta-analisi, lavori che prendono in esame e rielaborano i risultati degli studi disponibili su un tema specifico, in modo da arrivare a conclusioni che tengano in debito conto tutti quei fattori che come abbiamo visto possono contribuire a determinare risultati anche molto diversi tra loro. È sulla base di lavori di questo tipo che vengono elaborate le indicazioni e le linee guida delle varie organizzazioni che si occupano della salute. E come potrete intuire spesso lavori di questo tipo non giungono a conclusioni nette, in bianco e nero, ma indicano potenzialità, probabilità, sfumature che dipendono in effetti da tanti fattori diversi e non da un singolo elemento.

Certo, sarebbe più semplice se la ricerca potesse indicarci in maniera univoca che un certo alimento è causa di ogni male mentre un altro è la cura di ogni afflizione, ma la scienza non funziona così, e in particolar modo non funziona così la scienza che indaga i temi legati alla salute e alla nutrizione, un settore in cui le variabili che possono influenzare i risultati delle osservazioni sono tantissime, e spesso difficili da valutare.

Non intendo certo con questo screditare il prezioso, preziosissimo e difficile lavoro di chi indaga certi temi, essenziale per permetterci di chiarire, un pezzo per volta, il rapporto che esiste tra nutrizione, stile di vita e salute. Quello che mi preme sottolineare è che se i risultati possono apparire contrastanti e generare confusione non è perché gli studi non valgono nulla o siano manipolati: sono la complessità della materia, il gran numero di parametri da considerare, la difficoltà nel valutare il reale impatto dello specifico intervento, a determinare la disomogeneità dei risultati. Disomogeneità che chi lavora in questo ambito cerca di superare affinando gli strumenti utilizzati in modo da ridurre progressivamente i fattori di disturbo in grado di inquinare i dati raccolti.

L’indagine scientifica è un processo in continuo divenire, una costante revisione ed elaborazione dei modelli alla luce dei dati raccolti, un lavoro che non produce una verità definitiva e monolitica ma un insieme di conoscenze che sono il risultato di questo continuo lavoro di studio. Quindi quando leggiamo dei mirabolanti risultati di un determinato lavoro, magari presentati utilizzando affermazioni stereotipate del tenore de “lo dice la Scienza” (con la maiuscola, mi raccomando), cerchiamo di non farci trascinare dall’entusiasmo e valutiamo con attenzione, in maniera critica ed oggettiva, quanto ci viene detto, sia che confermi quanto sapevamo — o credevamo di sapere — sia che invece lo contraddica, situazione che invece che confonderci o farci infuriare, come spesso accade, dovrebbe spingerci a riflettere sul tema, approfondendone tutti gli aspetti senza fermarci in superficie come spesso accade.