Le intolleranze alimentari sono un argomento di grande interesse. E c’è un mercato enorme per quei test che dovrebbero essere in grado di diagnosticarle. Purtroppo ben pochi di questi esami, spesso molto costosi, hanno una qualche utilità.

Le intolleranze alimentari sono divenute un capro espiatorio universale: qualunque sia il problema di cui soffriamo  sarà sempre possibile attribuirlo all’intolleranza verso un qualche cibo. E fioriscono i test per la diagnosi di queste situazioni, test che generano liste infinite di alimenti da escludere, liste che inducono i poveri pazienti a sottoporsi a tremende diete di eliminazione: diete di cui in genere non c’è alcun bisogno e che possono procurare molti più danni di quanti non possano risolverne. Si tratta di un mercato enorme e molto appetibile, che promette di individuare la chiave per risolvere situazioni di disagio reali: tuttavia la maggior parte dei test proposti non serve a nulla, non ha alcuna base scientifica e non consente di avere risultati standardizzati e riproducibili.

Cosa sono le intolleranze alimentari

Le intolleranze alimentari fanno parte del grande gruppo delle reazioni avverse al cibo, gruppo cui appartengono anche le allergie alimentari, con le quali le intolleranze sono spesso confuse. A differenza delle allergie però, le intolleranze non coinvolgono direttamente il sistema immunitario e generalmente sono dovute all’incapacità dell’organismo di processare correttamente un componente dell’alimento consumato, con la conseguente comparsa di sintomi, in genere a carico dell’apparato digerente, talvolta della cute e più raramente di altri apparati.

L’intolleranza al lattosio è  la più diffusa tra le intolleranze da difetti enzimatici. Il lattosio è uno zucchero presente nel latte che viene digerito grazie ad un enzima chiamato lattasi. Tuttavia la lattasi, che tutti abbiamo ben funzionante nella prima infanzia, viene perduta da una certa percentuale della popolazione, molto variabile a seconda della regione geografica, a partire dai quattro/cinque anni. Il lattosio indigerito passa quindi nel colon e qui viene fermentato dalla flora batterica presente: ne derivano sintomi come diarrea, crampi addominali, vomito che sono sempre riconducibili all’assunzione di latte, in alcuni casi anche in quantità molto modeste. Si ritiene che circa il 50% degli italiani soffra di questo problema. Per i soggetti affetti la soluzione è quella di evitare il lattosio e tutti gli alimenti che lo contengono: latte fresco, gelati, formaggi freschi in primo luogo, ma anche un gran numero di altri cibi in cui latte e lattosio sono utilizzati nella preparazione, tra cui biscotti, dolci e salumi.

Esistono anche numerose intolleranze nei confronti di alcuni non-nutrienti presenti in alcuni cibi. Si tratta di sostanze naturalmente presenti negli alimenti, in quantità ridotte,  in genere ben tollerate. In alcuni individui suscettibili possono però verificarsi fenomeni di accumulo per il consumo elevato e ripetuto di uno o più alimenti che le contengono: questo provoca la comparsa di sintomi che vanno dall’orticaria ai dolori addominali, dalla diarrea al mal di testa, fino ad arrivare, in rarissimi casi, a reazioni di notevole gravità come lo shock anafilattico. Tra le sostanze responsabili:

  • istamina, presente in vino, spinaci, pomodori, pesce mal conservato, acciughe e formaggi stagionati;
  • tiramina, formaggi stagionati, birra, vino, lievito di birra, pesce affumicato, spinaci, banane;
  • caffeina, caffè e numerose bevande dolci gassate;
  • solanina, patate, melanzane, pomodori;
  • teobromina, e cioccolato;
  • glutammato monosodico, presente naturalmente in grande quantità in cibi come il parmigiano e il grana, utilizzato come additivo per rinforzare il sapore di alcuni cibi specie nella cucina tradizionale cinese;
  • solfiti, utilizzati come antiossidanti e conservanti in vini, zuppe, succhi e bevande;
  • diversi additivi, coloranti e conservanti come l’Acido Sorbico, la Tartrazina e l’Eritrosina;
  • salicilati, presenti in alcuni frutti e in alcune verdure, hanno un’azione simile a quella dell’acido acetilsalicilico e possono dare quindi delle reazioni pseudo-allergiche.

Molte di queste sostanze sono normali componenti di alcuni cibi, spesso consumati in quantità. Una eventuale reazione che segua un pasto può quindi essere dovuta sia ad un cibo in particolare, molto ricco di una di queste sostanze, sia al sommarsi di piccole quantità di questi non-nutrienti fino a raggiungere un valore soglia che, in un individuo suscettibile, può determinare la comparsa di sintomi.

Non c’è dubbio che l’intolleranza oggi più nota è l’intolleranza al glutine, una proteine presente nei cereali, che determina la celiachia, un patologia che può essere anche estremamente severa, assieme ad altre patologie meno note come l’allergia al grano e la sensibilità al glutine non celiaca. In realtà la celiachia è una malattia cronica che coinvolge il sistema immunitario, una condizione che in individui suscettibili è indotta dal consumo di prolamine, proteine presenti nel grano, nell’orzo e nella segale. Il soggetto celiaco presenta lesioni intestinali, anticorpi specifici nel siero e uno spettro molto variabile di sintomi intestinali e sistemici: tipici i problemi di malassorbimento di nutrienti fondamentali — vitamine, ferro, calcio — tanto più gravi quanto più estesi i danni a livello intestinale.

Più sfumata è la definizione della sensibilità al glutine non celiaca che si ha quando l’ingestione di glutine porta ad alterazioni morfologiche o fisiologiche in assenza degli anticorpi tipici della celiachia e dell’atrofia dei villi intestinali. Apparentemente il sistema immunitario non è coinvolto direttamente, tuttavia si registra una serie di sintomi, intestinali ed extra-intestinali, che compaiono rapidamente in seguito al consumo di glutine e altrettanto rapidamente scompaiono quando questo venga eliminato dalla dieta.

Un problema sempre più diffuso è la Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS da Irritable Bowel Sindrome), un disturbo che è caratterizzato da una costellazione di sintomi — gonfiore, senso di distensione, dolore diffuso, aria, alterazioni del transito intestinale — che somigliano e si confondono spesso con i problemi causati da intolleranze. In realtà la base fisiologica per la genesi di molti dei fastidi indicati è la distensione del lume intestinale che provoca appunto gonfiore addominale, spesso accompagnato da variazioni del transito. In genere i problemi riguardano la parte terminale dell’intestino tenue e la porzione ascendente del crasso. Le sostanze che possono causare questi fenomeni sono scarsamente assorbite nel tenue, di piccole dimensioni e quindi osmoticamente attive e facilmente fermentabili dai batteri intestinali. Si tratta dei FODMAP (Fermentable Oligo-, Di- and Mono- saccharides And Polyols, cioè mono- di- oligo- saccaridi e polioli fermentabili), un gruppo di carboidrati che comprende fruttosio, lattosio, fruttani, galattani e polioli come lo xylitolo, il sorbitolo e il mannitolo. In molti soggetti è proprio la sensibilità ai FODMAP a scatenare i fastidiosi sintomi, in assenza di allergie o intolleranze classicamente definite.

Si tratta in definitiva di patologie decisamente diverse per gravità e diffusione, che spesso si manifestano con sintomi sovrapponibili a quelli dell’allergia: non sempre facili da diagnosticare, richiedono un’anamnesi attenta da parte del medico, che saprà indirizzare il paziente verso i pochi esami realmente attendibili che abbiamo a disposizione. Da evitare invece figure approssimative e dalla professionalità poco chiara, che spesso propongono batterie di test tanto costosi quanto inutili.

Valore diagnostico dei test per le intolleranze alimentari: quali funzionano e quali sono privi di efficacia e valore

Un rischio concreto che deriva dal ricorso a test non validati è quello di eliminare, in maniera del tutto arbitraria e non necessaria, alimenti che potrebbero essere normalmente consumati: in casi estremi si può arrivare a diete così sbilanciate da provocare carenze, senza ottenere alcun vantaggio.

Intolleranze alimentari: i test inutili

Un test utilizzato per la diagnosi di una patologia dovrebbe essere accurato — avere cioè una stretta corrispondenza con il valore reale che si intende misurare — e preciso — ovvero dare risultati riproducibili, costanti e non equivoci, sullo stesso campione. Soltanto in queste condizioni i risultati raccolti avranno una qualche utilità e potranno essere utilizzati in maniera costruttiva ed utile per il paziente.

Purtroppo molti dei test che vengono proposti per la diagnosi di intolleranze alimentari non soddisfano questi due basilari requisiti: nel migliore dei casi casi si tratta di test che presentano scarsa accuratezza, ridotta precisione e forte dipendenza dalle capacità dell’operatore. Nel peggiore, si tratta di vere e proprie prese in giro basate su concetti pseudoscientifici, privi di ogni validazione e utilità.

È necessario sottolineare che questi test non sono soltanto inutili ma possono essere addirittura pericolosi. Spesso infatti, sulla scorta di questi risultati, si ricorre a severe diete di eliminazione che in alcuni soggetti potrebbero arrivare a causare carenze, mentre in altre situazioni potrebbero andare a mascherare o confondere sintomi ascrivibili a patologie serie, rendendone più difficoltosa la diagnosi e facendo perdere del tempo prezioso nella definizione di un’adeguata terapia.

Tra i test di dubbia o nessuna utilità nella diagnosi delle intolleranze alimentari:

  • Dosaggio delle Ig4

    Un esame molto diffuso, ricerca nel siero del paziente alcuni particolari anticorpi (Ig4) la cui presenza indicherebbe una sensibilizzazione verso specifiche sostanze, presenti di alcuni alimenti. In realtà gli studi a disposizione indicano che il test non ha alcuna rilevanza diagnostica, Ig4 positive verso un determinato alimento sono infatti presenti anche in soggetti che non hanno mai lamentato alcun problema. Inoltre il test non permette di distinguere quei soggetti che presentano una vera allergia IgE mediata, esponendoli a importanti rischi nel caso in cui non vengano correttamente individuati gli allergeni responsabili o si facciano tentativi di reinserimento di cibi nei confronti del quale il paziente presenta in realtà una vera e propria allergia.

  • Test citotossico

    Un test molto vecchio, proposto negli anni cinquanta del secolo scorso. Si basa sull’osservazione diretta di modificazioni morfologiche a carico dei globuli bianchi, una volta che questi siano stati esposti a specifici componenti del cibo. L’ALCAT è una versione automatizzata del test citotossico. I dati disponibili indicano che si tratta di esami non riproducibili, fortemente dipendenti dall’operatore, con risultati molto diversi per lo stesso paziente in prove successive.

  • Test elettrodermici: Vega Test, Sarm Test, Biostrenght e varianti

    Basati sugli studi di un oscuro scienziato tedesco, tale Voll, che avrebbe osservato variazioni nel potenziale elettrico della pelle quando un soggetto venga in contatto con alimenti nocivi o non tollerati.  Tutte le apparecchiature utilizzate sono non convenzionali, non rispondono cioè a precisi standard scientifici, ma presentano un funzionamento comune: il soggetto viene a far parte di un circuito in cui sono fatte passare deboli correnti elettriche o stimoli di natura elettromagnetica.  Tutti gli studi effettuati sono concordi: questi test non hanno alcuna validità diagnostica, i risultati sono del tutto casuali e non riproducibili. D’altronde non esistono dati che supportino l’ipotesi di Voll.

  • Biorisonanza

    Anche in questo caso si lavora sull’ipotesi che l’organismo emetta onde elettromagnetiche che risultano alterate in caso di allergie e intolleranze, onde che possono essere rilevate, filtrate e addirittura riabilitate e ripulite grazie a specifici apparecchi. Gli studi clinici effettuati non hanno mostrato alcun valore diagnostico.

  • Kinesiologia applicata

    La teoria alla base di questo esame, molto utilizzato dai chiropratici, prevede che l’allergia o l’intolleranza possano provocare una apprezzabile perdita di forza del soggetto. Durante il test il paziente con una mano tiene un’ampolla contenente la sostanza o l’alimento testato e con l’altra spinge contro un operatore che registra le eventuali variazioni di forza. Non esistono dati a supporto del metodo e la dipendenza strettissima dalle impressioni dell’operatore ne mina la riproducibilità alle fondamenta; oltretutto la sostanza non viene mai a diretto contatto con il paziente, quindi qualsiasi reazione diventa davvero difficile da spiegare in maniera razionale. E diciamoci la verità,  fare prove di forza mentre si tengono in mano ampolle in vetro contenenti allergeni non pare proprio un metodo diagnostico infallibile.

  • Test di provocazione-neutralizzazione intradermico o sublinguale

    Il paziente è esposto in maniera diretta, a livello intradermico o sublinguale, all’allergene, valutando quindi ogni possibile tipo di reazione che compaia nei successivi dieci-dodici minuti. Una variante che combina i principi di questo test con quelli della kinesiologia applicata è il DRIA test. Manca una standardizzazione, la riproducibilità non è verificata e il ventaglio e la soggettività delle possibili interpretazioni sono davero molto ampi. Inoltre l’esposizione diretta all’antigene potrebbe essere estremamente pericolosa nel caso di soggetti fortemente allergici.

  • Analisi del capello

    Proposta spesso per valutare intossicazione da metalli pesanti che, secondo i fautori, potrebbero essere la causa di allergie e intolleranze alimentari. Tutti gli studi e i dati raccolti mostrano mancanza di precisione e riproducibilità di questo tipo di esame.

  • Pulse test

    Si basa sull’ipotesi che il contatto con l’alimento nei confronti del quale esiste intolleranza possa provocare variazioni della frequenza cardiaca. Un incremento della frequenza cardiaca  di circa 10 battiti al minuto indicherebbe positività. Ovviamente non esiste alcuna evidenza scientifica a supporto di tale ipotesi e risulta evidente la forte dipendenza dalla emotività del paziente e dalle capacità dell’operatore.

Questo è soltanto un piccolo campionario della grande varietà di test offerti. Risulta evidente che in molti casi si tratti o di test molto vecchi, basati su osservazioni difficilmente riproducibili, o di test utilizzati in maniera impropria, il caso della rilevazione delle Ig4, o di test di pura fantasia, basati su teorie pseudoscientifiche ammantate di una qualche credibilità grazie all’utilizzo di macchinari che possono apparire più o meno sofisticati. Se poi nel nome del test compare il termine “quantico”, “emozionale” o “energetico” potete essere ragionevolmente sicuri di essere di fronte a un esame del tutto inutile,  se quello che cercate è una diagnosi seria. [1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12]

Diagnosi delle intolleranze alimentari tramite test, affidabilità, precisione, riproducibilità dei principali metodi utilizzati

Esecuzione di un pulse test: noterete l’impeccabile precisione, l’affidabilità e l’imparziale freddezza di esecuzione che permette al metodo di diagnosticare con infallib…scusate, ma dalla regia mi dicono che in realtà non esistono prove scientifiche o dati di alcun tipo a supporto di questo metodo. E se poi il paziente fosse un tipo emotivo ce lo ritroveremmo allergico praticamente a tutto. Cosmico! Astrale! Financo quantico!

Intolleranze alimentari: i test utili

Ovviamente esistono anche dei test affidabili, sicuri, precisi e riproducibili, utili nella diagnosi delle intolleranze  e delle allergie.

Per le allergie, condizioni che possono potenzialmente porre a rischio la vita del paziente, esistono dei percorsi diagnostici ben precisi e standardizzati, da effettuare esclusivamente sotto supervisione medica. Se si sospetta un’allergia è sempre e comunque necessario consultare un allergologo che possa individuare gli opportuni strumenti diagnostici.

Anche per le intolleranze è ben evitare le autodiagnosi, oggi tanto di moda, e fare riferimento in primo luogo al proprio medico e quindi a specialisti in grado di prescrivere gli esami eventualmente necessari.

Per la celiachia esistono dei test di primo livello che sono basati sulla ricerca di anticorpi specifici nel siero del paziente:

  • dosaggio anticorpi IgA anti transglutaminasi tissutale (test di screening)
  • dosaggio anticorpi anti endomisio (test di conferma)
  • dosaggio anticorpi IgA e IgG anti peptidi deamidati della gliadina ( test per la fascia pediatrica e per il monitoraggio di soggetti in dieta aglutinata)

Un test che presenta un alo valore predittivo negativo, può cioè aiutare ad escludere la presenza della malattia, ma scarso valore positivo è la valutazione dell’assetto genetico HLA, con la ricerca della presenza di alcune varianti geniche predisponenti alla celiachia. In assenza di tali varianti è altamente improbabile che il soggetto possa soffrire di questa patologia. Il test è molto utile nel valutare la predisposizione genetica dei familiari di primo grado di soggetti celiaci.

Test discriminanti nel soggetto adulto sono l’esofago-gastro-duodenoscopia le biopsie duodeno-digiunali, test che permettono di confermare la diagnosi grazie all’osservazione diretta delle lesioni a livello della mucosa dell’apparato digerente.

Per l’allergia al nichel si utilizza il patch test che consiste nel porre a contatto diretto della cute un preparato che contiene nichel. S si sospetta una sindrome sistemica da nichel, dopo aver accertato la positività al patch test, è necessario procedere con una dieta di esclusione, molto complessa e difficoltosa, seguita da un test di provocazione.

Per la diagnosi di intolleranza al lattosio si utilizza il breath test per il lattosio. Durante il test il paziente assume una dose standardizzata di lattosio: a intervalli di tempo successivi vengono analizzati i gas espirati alla ricerca di picchi di idrogeno, la cui presenza indica fermentazione intestinale del lattosio non digerito.

Il breath test può anche essere eseguito per valutare il mancato assorbimento di altri zuccheri come lattulosio, xilosio, fruttosio o sorbitolo. Questi test possono sia rilevare difficoltà di assorbimento di specifici zuccheri sia indicare presenza di contaminazioni batteriche a livello dell’intestino tenue, sia individuare alterazioni del transito intestinale. La modalità di esecuzione è simile a quella del test relativo al lattosio, con la misurazione dell’idrogeno presente nell’espirato del paziente a intervalli di tempo definiti dopo il consumo di una dose standard dello zucchero in esame. Si tratta di test che possono essere utili nell’individuare quei soggetti che potrebbero beneficiare di una dieta a basso contenuto di FODMAP, anche se ancora mancano quadri di riferimento diagnostico ben definiti per situazioni di questo tipo. [13, 14, 15, 16]

Servono davvero i test per le intolleranze alimentari?

Quello delle intolleranze alimentari è ormai un argomento POP: se ne parla ovunque, spesso a sproposito. Attribuire problemi e fastidi a fantomatiche intolleranze è, in molti casi, un buon escamotage se si vuol evitare di affrontare certi aspetti problematici del proprio stile di vita. E nello spazio creato da questi bisogni e atteggiamenti si sono infilati lesti, prosperando e crescendo, i dispensatori di una marea di improbabili test, inaffidabili e inutili, che una risposta a certi problemi la danno: invariabilmente generica e sbagliata.

La diagnosi di allergia o intolleranza spetta al medico: se sospettate di avere problemi in questo senso è il vostro medico di fiducia il professionista che dovete contattare. Chi vi propone test costosissimi, diversi da quella manciata di esami indicati poco sopra, vi sta ingannando. E l’inganno, a parte il danno economico, non è così innocuo come si potrebbe pensare; al test segue una dieta di esclusione e se la dieta di esclusione è basata su risultati casuali allora non potrà che produrre problemi: mascherare allergie reali; ritardare la diagnosi di malattie importanti; indurre comportamenti nevrotici nei confronti del cibo, al limite dell’ortoressia; creare addirittura carenze alimentari, quando la dieta proposta sia estremamente selettiva e severa.

Una volta che ci sia una diagnosi si potrà valutare se procedere o meno con un piano alimentare adeguato: anche qui è bene evitare il fai-da-te e lavorare con professionisti preparati, in modo da evitare restrizioni ed esclusioni non necessarie. La salute è importante, è bene non affidarsi a pratiche inutili e costose ma ricorrere invece a protocolli diagnostici e terapeutici accurati, precisi ed efficaci. E spesso, molto, molto più economici.